"Non doveva finire così": il triste addio al calcio del Principe Giannini

Nel duemila l’ex capitano giallorosso si congedò con una partita d’addio nella sua Roma, ma alcuni tifosi rovinarono tutto

"Non doveva finire così": il triste addio al calcio del Principe Giannini
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Allaccia gli scarpini, cosciente che quella è davvero l’ultima volta. Lo spogliatoio è un bacile di fenomeni. Giocherà un tempo con i vecchi compagni di nazionale e una frazione con la Roma formato amarcord. Sfilano, fra i molti, Baresi, Bergomi, Tacconi, Zenga, Schillaci e De Napoli. Poi ci sono quelli che portano la lupa incisa sul cuore. I Bruno Conti e i Prohaska. Tancredi, Voeller, Righetti, Maldera. C’è anche Odoacre Chierico, quello che gli ha affibbiato il soprannome fortunato che ancora gli sta incollato addosso. Il Principe, per via di quel portamento regale, di quel mento tenuto costantemente alto, dell’elegante capacità di leggere tra le smagliature calcistiche.

In panchina siedono, rispettivamente, Azeglio Vicini e Carletto Mazzone. Il primo lo ha fatto accomodare nel ventre del centrocampo azzurro già da giovanissimo. Il secondo è stato il suo ultimo tecnico alla Roma e ha spinto per averlo anche per un rapido inframezzo a Napoli. Migliaia di persone affollano l’Olimpico per omaggiare Giuseppe Giannini, il capitano. L’uomo da 318 partite e 49 gol. Il signore feudale della mediana giallorossa. Pare che ci siano tutte le premesse per una serata di gioia zampilllante. Non fosse per quel particolare non certo trascurabile.

Appena tre giorni prima, infatti, si è materializzata la iattura delle iatture. La Lazio ha vinto lo scudetto. È l’anno della delusione umida per la Juve, guarnita dalle pozzanghere del Curi di Perugia, concretizzata dall’improbabile siluro di Calori. C’è soltanto un altro club che può dirsi più avvilito per quel tonfo inatteso. Giubilano i biancocelesti per le strade della capitale. Schiumano acredine i romanisti.

Scende in campo, in questo vacillante salotto, il Principe Giannini. Fluttua verso il suo appezzamento emotivo, la mediana, con l’inevitabile sussiego, con quelle movenze aristocratiche. Primo tempo che fila via liscio. Uno a uno, squilli di Voeller e Carnevale. Mugugna intanto la Sud, convitata riottosa ad una festa che non riesce a diluire il fermento. Si levano i primi cori contro la società, rea di non avere fatto abbastanza per schivare lo sfacelo.

Nulla però farebbe ancora presagire il tribale tumulto che, da lì a poco, è destinato a deflagrare. Soverchiata dal risentimento, una nutrita frangia di tifosi rimugina pensieri tetri. Prima si levano cori contro la famiglia Sensi. Franco non c’è e se li sorbisce tutti la figlia Rosella. “Batistuta dov’è?”, abbaiano i tifosi. In realtà il fuoriclasse argentino arriverà nel giro di qualche settimana. Nel frattempo il pubblico è furente. Ripassa mentalmente in rassegna le immagini di tre giorni prima. L’insopportabile trionfo laziale. Intanto Nils Liedholm e Flora Viola, moglie dell’indimenticato Dino, premiano Giuseppe in campo.

Si apre, d’un tratto, una fenditura nei cancelli. Il lato è quello della tribuna Monte Mario. È questione di un amen. Migliaia di tifosi inferociti si riversano svelti verso il terreno di gioco. Non ce l’hanno con il Principe, ma sono accecati da sentimenti urticanti. Divelgono porte, bandierine, panchine e finanche zolle di campo. Giannini è atterrito, come chi lo circonda. Dovrebbe disputare la seconda parte di gara con l’amata maglia giallorossa, ma quel furore sabota la festa. Bruno Conti e Francesco Totti si stringono al suo fianco, tentando di sedare gli animi, senza successo.

Ci prova anche lui, impugnando un microfono: “Se non ve ne andate non possiamo proseguire con la nostra festa”, li implora sconcertato. Niente da fare. Quel secondo tempo non si giocherà mai. Le squadre sono costrette a rintanarsi negli spogliatoi, in attesa che la tempesta si sgonfi. Giannini è in lacrime. Mai si sarebbe aspettato questo dal suo stesso popolo. Da quella gente che lo aveva così intensamente amato. Si leva, tardivo e insufficiente, un raffazzonato striscione dalla curva: “Scusa”, la scritta che campeggia sopra. Lui prova ad appiccicare insieme due parole: “Scusate…sono emozionato, nervoso.

Purtroppo per un eccesso d’amore, per uno sfogo della rabbia di questi giorni…vi ringrazio, non doveva finire così, ma con qualcosa di meglio”.

Soltanto un anno più tardi la Roma solleverà a sua volta lo scudetto. La ferita inferta dai rivali biancocelesti è rimarginata. Quella patita dal Principe, invece, fiotterà tristezza per sempre.

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