Il pastore solitario del gregge azzurro

Persona, non personaggio, il ct Under 21 con la mission di far ripartire il movimento. E i procuratori per nemici

Il pastore solitario del gregge azzurro

Si fa presto a dire anarchico. E pure libero, indipendente. Poi c’è altro e quest’altro è Baldini Silvio, carrarese di Poggio Piastrone, figlio di un tempo smarrito se non scomparso, pastore solitario di greggi calcistiche, tanto per romanzare una esistenza, la sua, che ha dentro poesia di incantesimi ma anche narrazione buffa e, insieme, commovente. L’emozione lo prende appena quando parla di sua madre novantenne, Alberta, donna tostissima, Silvio muove appena le labbra, non intende manifestare quello che gli scalda il cuore e la testa, dice: «Non mi piace rendere pubblico ciò che poi finisce in pasto a cento teste di cazzo, perché il calcio è popolato da ignoranti e lestofanti, gente che non conosce la passione e specula su quella altrui, dei tifosi, dei calciatori, dei dirigenti».
In breve il mondo dei procuratori che ovviamente curano gli interessi dei propri assistiti fottendosi di anima e spirito di appartenenza e di impegno. Baldini è questo, se vi pare, assolutamente genuino e inafferrabile, duro e morbido come è stato Valentino, suo padre, comunista vero, così Alberta, fascista di fede e speranza. Si spiega come Silvio sia cresciuto tra due fuochi con fiamme altissime e abbia capito il senso della vita, infine scegliendo di essere accerchiato soltanto dalla sua famiglia, lo spogliatoio privato, esclusivo, unico, puro, Paola, moglie, Valentina, Mattia, Niccolò, i figli. Baldini va ascoltato non nelle lezioni di football, che pure sa dare e proporre, ma per le pagine di diario di una vita lunga e affollata di cose, di persone, di episodi, Domenico, lo zio repubblichino, un uomo piccolo di statura che aveva fatto l’Abissinia però, dopo Salò, venne preso e messo con la testa in giù nelle acque del torrente e vilipeso e torturato, quindi fu salvato e qualcuno imbracciò lo Sten per difenderlo da nuove aggressioni; poi ci sono le fatine, gli gnomi, trasformati in funghi, secondo il racconto fiabesco di mamma Alberta, ancora, le passeggiate nel bosco, il buio della notte, le rondini che strizzano l’occhio, l’aquila che crede di essere pollo, una antologia che detta così sa di cianfrusaglia riposta in un baule e invece profuma di esistenza verissima, quotidiana, di un uomo rimasto bambino e di un bambino fatto uomo, alle prese con il destino e le premonizioni cattive, pagine da sfogliare per apprendere che il calcio non è soltanto quattrotretre e nemmeno gol e parate. Dietro c’è molto e quel molto non appare spesso perché o non esiste, trattasi di football fatuo, o, quando esiste è carico di senso della vita e con questo si allenano il corpo e la mente altrui. Persona e non personaggio gli garba ripetere a significare appunto che la gloria è vapore, svanisce alla prima sconfitta ma questa, proprio questa, è la grande compagna di viaggio di Baldini che nelle sconfitte, del campo e della vita, tutto ha imparato e molto vorrebbe insegnare, più a Kantè che a Messi, perché con il sacrificio si può vincere, con la sola arte è più complicato. Ha percorso l’Italia del pallone dall’Alpi alle Piramidi, è stato preso a calci e ha sferrato calci, ha regalato sogni, promozioni e fischi e insulti, elementi indispensabili del bagaglio di chi ha incominciato l’avventura che non sempre è del signor Bonaventura e del suo milione di premio.
Baldini all’Under 21 è un’idea o sogno già antico, dissero che non era il profilo giusto, balle ipocrite di chi nell’ipocrisia ha fatto carriera, Coverciano ora diventa la sua nuova dimora di lavoro. Gli piace il pensiero di lavorare con i giovani, a Pescara ha trasformato una scolaresca in squadra sana e forte, evita i ritiri pre-partita, spinge alla fatica seria negli allenamenti, «Fagioli e Tonali hanno detto che si erano dati alle scommesse perché si annoiavano e volevano occupare il tempo, con due allenamenti al giorno avrebbero occupato meglio il loro tempo». A vent’anni Baldini giocava difensore centrale nella Stella Rossa, un nome che mandava Alberta al manicomio, erano giorni liberi, il fiume Frigido, i rondoni a primavera, la migrazione verso l’Africa, si giocava a pallone senza sognare la serie A, c’era da faticare, Valentino faceva il cavatore quasi un dovere per la gente di Carrara, caricava il marmo sulla mambrucca, il carro trainato dai buoi, sudore nella bianchissima luce, mamma a tenere a bada il mondo, un quadro forte del Dopoguerra italiano in quella parte del Paese diviso, ancora in lotta aspra tra fascisti e comunisti, dopo le rappresaglie le vendette, Silvio cresceva nell’aria avvelenata dai rancori del paese, non era un teatro finto come non lo è la sua passione per il calcio.
Forse gli studi all’Enrico Fermi, il liceo scientifico di Massa Carrara, le lezioni di matematica o l’Eneide e l’Odissea, poli distanti ma comunque affascinanti, sono state le sue vitamine sane.
La scelta di affidargli la nazionale Under 21 sembra un atto di coraggio o di raccomandazione, Buffon sarebbe stato il suo procuratore, ruolo questo odiato ai massimi dal Silvio, in verità con Buffon esiste una storia a parte, perché Adriano, il padre di Gigi, portò Baldini al mestiere di allenatore: «Quando andavo a trovarlo a casa, Gigi giocava con i suoi amici e Adriano mi sussurrò: fino a nove, dieci anni farà il centravanti, poi sarà un grande portiere». Premonizione perfetta, Buffon ha ricordato i giorni d’infanzia e l’affetto e la cura che ancora oggi Baldini riserva a suo padre Adriano. Se la chiamate raccomandazione accomodatevi pure nella stanza dei codardi dal pennino facile, gli stessi che descrivono Baldini come un tipo inaffidabile, irascibile, imperfetto, violento, preferendo, costoro, gli impostori che allenano la stampa e vivono da nababbi, fingendo di essere con e del popolo, gente che non sa giocare in difesa nemmeno nel proprio quotidiano.
Silvio Baldini ama ridere anche di se stesso, di quando si accomodò in un salone di barbiere a Londra, un’ora e 150 sterline, tornato al paese gli dissero che la differenza tra lui e Agnelli era che l’Avvocato aveva i soldi per il barbiere e lui, invece, senza una lira, era uno stupido sulla stessa poltrona del coiffeur.
L’impresa, ora, è conciliare le esigenze del risultato con il lavoro dell’allenatore, il materiale umano esisterebbe pure se ci fosse coraggio nei sodali di Baldini i quali, spesso, fanno i conti con i lestofanti, dunque i procuratori che impongono il giovane straniero penalizzando e soffocando il giovane nostrano. Baldini dovrà lavorare su questo, tenendosi lontano da consiglieri e prosseneti, impresa questa la più ardua.

Esistono sempre un bosco, una notte buia, i pastori della Sicilia, per ripararsi dal vento contrario; nel caso di burrasca, lui non abbandonerà mai l’equipaggio ma la nave e il suo armatore quelli sì.
Forse qualcosa si muove, forse qualcuno, infine, ha capito. Forse.

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