Lui non ha mai mollato e non molla neppure adesso, neppure dopo aver portato l'Atalanta alla prima finale europea della sua storia. Arriva da un 3-0 e con un Europa League nel mirino, ma prima di arrivare in sala stampa lo senti mandare a quel paese la Tv che ritarda la ribalta alla sua creatura per celebrare l'eliminazione della Roma. Non molla niente, e poi sorride: «Festeggiamo certo, però non abbiamo ancora vinto nulla». Tutti a Dublino, allora.
La lezione di Gian Piero Gasperini nel giovedì che vale una carriera è quella delle squadre di seconda fascia, come le chiama lui, «quella che non hanno bisogno di milioni e di Superleghe per arrivare a vincere. Abbiamo dato speranza a tutte le piccole realtà che ora sanno che si può». Sono quasi otto anni che lo dice da Bergamo, «e invece di ascoltare quelli che sostenevano che non ce l'avremmo fatta, abbiamo portato avanti con cocciutaggine
la nostra identità», con gli occhi che scrutano i sorrisi altrui, gustando la rivincita contro il pallone dei grandi che lo ha sempre respinto. Sognava la Juve che mai lo ha considerato davvero, è stato respinto dall'Inter che non ha creduto alla sua rivoluzione: poi è arrivato il nerazzurro meno nobile, che con lui adesso però è diventato grande. Eppure.
Quel che resta di una serata da impazzire è la sensazione di essere alla fine di un capitolo, questa volta davvero. Mentre Gasp recita la sua storia continentale partita da uno 0-4 a Zagabria («probabilmente di quella partita oggi in campo c'era solo De Roon»), qualche stanza più in là il presidente Antonio Percassi dice cose che sembrano ovvie, ma nel calcio non lo sono mai: «Noi con l'allenatore abbiamo un contratto ancora di un altro anno, e i contratti per noi sono sacri. Certo che se venisse a dirci che se ne vuole andare, a malincuore...». Già, a malincuore, ma succede.
Magari è solo un'ombra, sarebbe davvero un peccato chiudere il teatro dell'arte di essere sempre sul pezzo a tutti i costi. Con Gasperini l'Atalanta ha conosciuto palcoscenici mai visti, grandi successi, litigate epiche con i giocatori (vedi Papu Gomez su tutti), unità d'intenti con le sue squadra, con l'ultima che gli ha fatto dire di aver raggiunto «il trionfo per un allenatore». Il suo è trasformismo continuo, cambiare tutto sempre sulla stessa rotta per confondere gli altri, portare a casa scalpi preziosi («diciamo che ci siamo fatti conoscere») sempre restando se stesso, senza deroghe. Mola mia, «anche se la squadra attuale non è la più forte che ho avuto qui. Ma dal punto di vista morale, ha delle armi pazzesche».
E poi c'è Ruggeri: «Dire che quel gol segnato di destro lo abbiamo provato in allenamento sarebbe troppo, però l'azione è quella. Mattia è un giocatore straordinario, con la S maiuscola, un ragazzo di Zingonia: gli dico sempre di provare a tirare, magari col suo piede, il mancino, non avrebbe segnato...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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