Lo Zaire e quel calcio al pallone passato nella storia nel mondiale del 1974

Si tratta forse dell'episodio più curioso mai registrati in un mondiale: Joseph Mwepu Ilunga, durante la sfida con il Brasile, calcia via un pallone mentre gli avversari stavano per battere una punizione. Dietro c'è una storia fatta di terrore e minacce

Lo Zaire e quel calcio al pallone passato nella storia nel mondiale del 1974

C'è un episodio del mondiale di Germania del 1974 passato alla storia più quasi di tante azioni di gioco del torneo. È il 22 giugno, al Parkstadion di Gelsenkirchen, la vecchia casa dello Shalke04, si sta giocando Brasile-Zaire. Al minuto 85 c'è una punizione per i verdeoro sudamericani e sul pallone va Rivelino. Sembra tutto pronto per la battuta, ma all'improvviso dalla barriera della squadra africana esce il numero 2: si chiama Joseph Mwepu Ilunga, gioca nel Mazembe, squadra passata alla storia nel 2010 per essere la prima africana a raggiungere la finale di un mondiale per club. Lo ricordano forse i tifosi dell'Inter, finalisti e vincitori di quell'edizione del torneo.

Ilunga va verso il pallone e lo calcia lontano, lo allontana fino al centrocampo prima che Rivelino possa tirarlo verso la porta avversaria. La scena che ne viene fuori è quasi comica: i giocatori brasiliani si guardano tra loro increduli, tra il pubblico la reazione è un mix di stupore e sbigottimento. Nessuno prima d'ora ha mai assistito a un qualcosa del genere. L'arbitro, il rumeno Rainea, prova a mantenere una certa compostezza ed estrae il cartellino giallo per Ilunga.

Il protagonista di questa storia si giustifica con il direttore di gara dicendo di aver sentito un fischio e, visto che nessuno dei brasiliani calcia il pallone, di aver rinviato per questo la sfera. La verità è un'altra. La racconta lo stesso Ilunga, ma solo nel 2002. Per scoprirla, occorre però immergersi nella storia politica e sportiva del Paese africano.

Il calcio congolese durante l'ascesa di Mobutu

La nazionale per cui gioca Mwepu Ilunga oggi non c'è più. O, per meglio dire, oggi si chiama in un altro modo. Zaire è il nome dato nel 1971 all'attuale Repubblica Democratica del Congo dall'allora presidente Joseph Mobutu. Al potere dal 1965, il suo credo politico si sintetizza in un termine ben preciso: autenticità. Tutto deve rimandare all'autenticità africana e deve discostarsi dal periodo coloniale. Impone l'uso di abiti tradizionali ai suoi cittadini, cambia anche il proprio nome facendosi chiamare Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga. Tradotto, vuol dire letteramente "Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che nessuno possa fermarlo". Un significato quindi che la dice lunga su una personalità certo non dedita all'umiltà.

Il passo per cambiare il nome al Paese è quindi breve: via la dicitura che richiama al Congo belga, viene invece imposto il termine Zaire. Una parola che proviene da Nzeri, “fiume” in dialetto locale. La sua ascesa al potere non è delle più tranquille. Nel 1961, un anno dopo l'indipendenza del Congo, diventa capo di stato maggiore. Il Paese è già lacerato da lotte politiche ed etniche, Mobutu con l'esercito diventa principale alleato del presidente Joseph Kasa-Vubu. Nelle regioni orientali si crea un governo parallelo stanziato a Stanleyville, guidato dai seguaci di Patrice Lumumba, primo presidente post indipendenza arrestato e poi ucciso nel 1961. A sud invece, l'ex madrepatria belga dà manforte ai secessionisti del Katanga. In mezzo a questo caos, scoppia anche la rivolta dei Simba, di ispirazione maoista.

Un caos a cui Mobutu cerca di dare un freno usano le maniere forti. Anzi, fortissime. Nel 1965 con un golpe detronizza Kasa-Vubu, proclama lo stato di emergenza e fa pubblicamente impiccare nello stadio della capitale Leopoldville, l'odierna Kinshasa, cinque ministri accusati di alto tradimento. Inizia così una lunga era destinata a durare 32 anni.

In un Paese dominato da contrasti, guerre e lacerazioni però, incredibilmente ad emergere è la locale scuola calcistica. Una scuola che trae le sue origini da lontano. Sono i missionari belgi a far conoscere il pallone ai congolesi, i quali subito si appassionano al nuovo sport. E negli anni '30 e '40 vengono edificati stadi e strutture sportive in tutte le principali città. Il più importante di questi viene costruito a Kinshasa nel 1952, su forte input del sacerdote belga Tata Raphael, a cui oggi lo stadio è dedicato. È lo stesso dove, 13 anni più tardi, vengono impiccati i primi rivali di Mobutu.

Il biennio d'oro tra il 1973 e il 1974

Al momento dell'indipendenza, il Congo si presenta come tra i Paesi più attrezzati per il calcio a livello africano. Nonostante le guerre interne, il pallone continua a rotolare e ben presto le squadre di club iniziano a dominare il panorama continentale. A partire proprio dal Mazembe, squadra di Elisabethville, poi ridenominata Lubumbashi dalle politiche sull'autenticità di Mobutu. La città è capoluogo di quel Katanga che nel 1960 proclama l'indipendenza e le partite contro le squadre di Kinshasa iniziano a diventare sfide dal sapore politico e sociale. Il Mazembe vince la coppa dei campioni africana nel 1968 e nel 1969. Quattro anni più tardi, nel 1973, a trionfare sono i rivali interni del Vita Club, unica squadra di Kinshasa a vincere un torneo internazionale.

La “fusione” deo blocco del Mazembe con quello del Vita Club crea una nazionale destinata anch'essa a imporre legge in Africa e a vincere la coppa continentale nel 1968. Mobutu decide così di sfruttare lo sport come mezzo di promozione del suo Paese. Incarica la locale federazione calcistica di predisporre tutto per avere una squadra in grado di ben figurare a livello internazionale. Anche perché adesso il Paese è già il “suo” Zaire e vuole portare il nome nuovo dato alla nazione in giro per il mondo.

Viene così ingaggiato come commissario tecnico un allenatore nordmacedone, all'epoca di nazionalità jugoslava. È uno dei tanti provenienti dall'ex federazione slava a girare il pianeta e a guidare squadre di località esotiche. Si chiama Blagoja Vidinic, un ottimo portiere che arriva a giocare anche negli Stati Uniti. Poi inizia la girandola di varie nazionali. Porta il Marocco alla prima qualificazione ai Mondiali nel 1970 e due anni dopo accetta la sfida di guidare lo Zaire. Nel 1973 inaugura un biennio d'oro per il calcio locale: lo Zaire supera i primi tre turni di qualificazione per il mondiale tedesco e accede al girone finale, da cui esce la squadra africana qualificata. In quel girone la favorita è il Marocco, ma la squadra dell'ex Vidinic batte i magrebini e vola in Germania.

A completare i festeggiamenti per la prima storica qualificazione, anche la prestazione nella Coppa d'Africa ospitata dall'Egitto nel gennaio 1974. Lo Zaire gioca un torneo perfetto, supera in semifinale i padroni di casa e in finale, dopo una prima partita finita in pareggio, vince nella ripetizione contro lo Zambia grazie alla doppietta del suo bomber, Mulamba Ndaye del Vita Club. È finora l'ultima Coppa d'Africa vinta dal Paese.

Il percorso dello Zaire a Germania '74

Mobutu crede così tanto nello sport che proprio nel 1974 a Kinshasa riesce a far disputare quello che ancora oggi viene ritenuto come uno dei più importanti incontri di pugilato: davanti a 60.000 spettatori assiepati nello stadio costruito nel 1952, Muhammad Ali sfida George Foreman. Un evento che richiama anche milioni di spettatori di tutto il mondo. Forse in quel 1974 Mubutu pensa che al mondiale il suo Zaire possa emulare la Corea del Nord del 1966, quella che batte l'Italia con il gol di Pak Doo ik.

L'inizio sembra promettente. Il 14 giugno a Dortmud la nazionale di Vidinic tiene bene il campo contro la più forte Scozia e alla fine perde solo con due gol di scarto. Il disastro arriva nella seconda partita, quella contro la Jugoslavia. Dopo 35 minuti, la squadra balcanica è avanti già con il punteggio di 6-0. Per Mobutu è un'umiliazione imperdonabile. Sta assistendo alla sfida da Kinshasa e da lì rivolge l'ordine, fatto arrivare durante la partita direttamente a Vidinic, di sostituire il portiere: fuori uno degli eroi della Coppa d'Africa, Mwamba Kazadi del Mazembe, dentro Dimbi Tubilandu del Vita Club. La situazione però non cambia. Alla fine lo Zaire esce sconfitto per 9-0.

Le minacce di Mobutu ai giocatori della propria nazionale

Tra gli accompagnatori della squadra in Germania, di certo non mancano rappresentanti governativi e persone incaricate di seguire i giocatori. Gente con il compito all'occorrenza anche di far pervenire all'interno del ritiro della nazionale le indicazioni da Kinshasa. Una di queste arriva subito dopo la disfatta contro la Jugoslavia. Mobutu, irritato per quanto visto in campo, lancia un ultimatum alla squadra: nella terza e ultima partita del girone, niente più magre figure internazionali. Altrimenti, la pena è quella di costringere i giocatori ai lavori forzati una volta rientrati in patria. Una minaccia che sa di vera e propria condanna a morte.

Mobutu sa bene che, dopo un simile ultimatum, molti calciatori hanno la tentazione di rimanere in Germania e non tornare indietro. Così, fa sapere che per chi non rientra in Zaire la pena viene direttamente girata ai propri parenti o agli affetti più cari. I giocatori non hanno scampo: devono andare a Gelsenkirchen sapendo di avere in ballo la propria stessa vita o quella dei familiari. Il 22 giugno difronte c'è il Brasile. Anche i massimi vertici della Zaire sanno che battere i brasiliani è impossibile, anche perché i sudamericani clamorosamente non hanno ancora vinto e devono portare a casa il bottino pieno nell'ultima sfida per passare il turno. Viene quindi stabilita una precisa soglia entro la quale una sconfitta può essere considerata onorevole. Lo Zaire deve prendere massimo tre gol, oltre questo punteggio scatta la pena minacciata da Mobutu.

Il gesto disperato di Mwepu Ilunga

Si arriva così al gesto di Joseph Mwepu Ilunga. Nella terza partita di quel girone, il Brasile passa al tredicesimo minuto con Jairzinho. Sembra preludio di una nuova imbarcata, ma questa volta lo Zaire tiene bene il campo. Tanto che il secondo gol i brasiliani lo segnano soltanto al minuto 68, con Rivelino. Dieci minuti più tardi arriva la terza marcatura con Valdomiro. Se i brasiliani dovessero fare un altro gol, i giocatori dello Zaire entrerebbero in una zona molto pericolosa.

Al minuto 85 c'è una punizione dal limite per i verdeoro. Sul pallone va Rivelino, uno specialista. Mwepu forse in quel momento vede lo spettro di una condanna a morte per sé e per i propri familiari. Quello che passa per la testa del numero due dello Zaire è possibile solo immaginarlo. Colto dal panico, si stacca dalla barriera e calcia lontano il pallone per evitare una quarta capitolazione. Il resto è la storia solo apparentemente comica uscita fuori dai confini del mondiale.

La verità saltata fuori nel 2002

Rivelino batte poi quella punizione, il quarto gol però non arriva. Lo Zaire torna a casa sconfitto, ma i giocatori almeno hanno salva la vita. Per molto tempo questa storia rimane nel mistero. A svelarla è il diretto protagonista in un'intervista concessa alla Bbc nel 2002, quando l'era di Mobutu è finita da cinque anni e il Paese è già tornato a chiamarsi con il suo nome originario.

I brasiliani dopo quel mio gesto – racconta Mwepu Ilunga – ridevano. Ma non potevano sapere cosa io provassi in quel momento, ero preso dal panico”. Il giocatore parla anche altri retroscena, come i premi prima promessi e poi ritirati da Mobutu, i sospetti di soldi destinati alla squadra intascati da dirigenti vicini al presidente, l'irritazione alla vigilia della sfida con la Jugoslavia, alla base del 9-0 subito dagli avversari. Una spedizione naufragata sul più bello e terminata nel terrore più totale.

Mwepu Ilunga, assieme ai compagni, torna a casa e non gli viene messo a disposizione in aeroporto nemmeno un taxi per raggiungere la famiglia. Almeno però può rivedere i propri cari. Giocherà ancora fino al 1980, sempre con i colori del Mazembe. Morirà a 65 anni a seguito di una lunga malattia l'8 maggio del 2015 a Kinshasa.

Farà in tempo a vedere la sua unica squadra a tornare ai massimi livelli africani e a giocarsi la coppa del mondo per club nel 2010. Ultimo lampo internazionale del calcio congolese, così potenzialmente forte ma così drammaticamente assorbito dalle dinamiche politiche e sociali di un Paese ancora oggi nel caos.

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