Il calcolatore fa fare brutta figura all’uomo, negli Usa sbancato «Jeopardy!»

Comprendere il linguaggio umano e offrire in pochi secondi le alternative possibili a una domanda, in qualsiasi modo essa venga posta. Un’impresa finora impossibile per qualsiasi cervellone informatico. Finora. Finché Ibm non ha realizzato Watson, un sistema (dal nome dal fondatore di Ibm, Thomas J. Watson) in grado di comprendere il naturale linguaggio umano e di elaborare, a fronte di una domanda, anche se non chiara, milioni di informazioni, trovando possibili risposte.
Nel 2007 Ibm è partita con un grande investimento per realizzare Watson, sia in termini di risorse umane che finanziarie: si parla di decine di milioni di dollari e di un team dedicato di 25 ricercatori Ibm guidati da David Ferrucci, di cui tre italiani: Roberto Sicconi, Bonaventura Coppola e Alfio Gliozzo. In più, Big Blue ha coinvolto nel progetto Watson otto università, che avevano già raggiunto livelli avanzati nello studio del linguaggio naturale: università di Trento, Carnegie Mellon University, Mit, University of Texas di Austin, University of Southern California, Rensselaer Polytechnic Institute, Suny Albany e University of Massachusetts Amherst. La collaborazione riguarda un’architettura software modulare e una serie comune di standard di misurazione, che consentiranno ai ricercatori di confrontare direttamente diversi tipi di software di Qa (domanda e risposta).
«È stato fatto un passo avanti decisivo nell’interpretazione del linguaggio naturale - spiega Giovanni Linzi, general manager di Ibm Italia -: Watson “pulisce” il linguaggio da tutto ciò che è sottinteso e implicito, analizza la domanda, anche se malposta o non chiarissima, e crea alternative per ogni significato, associando a ognuna di queste un potenziale livello di confidenza rispetto a quella ritenuta corretta. Non è detto che l’elaboratore abbia sempre ragione, può sbagliare, solo che il margine di errore è preso in considerazione e “pesato”. L’obiettivo non era creare un sistema infallibile, ma una macchina che in termini di comprensione fosse vicina al livello umano. Questo da una parte pone le basi per una relazione uomo-macchina molto più diretta, semplificata rispetto a quella odierna, perché quella di oggi è molto più strutturata: la domanda deve essere posta in maniera precisa, corretta, per evitare di ricevere una risposta inadeguata. Dall’altra dà la possibilità alla macchina, sulla base delle richieste fatte, anche vaghe, basate su dati strutturati e non strutturati (le pagine di un giornale, un paper scientifico) di trovare potenziali risposte, ricercandole nello scibile a disposizione».
Watson è basato su tecnologie commerciali, già a disposizione dei clienti Ibm. Infatti gira su sistema operativo Linux ed è alimentato da un server Ibm con processore Power7 , in grado di elaborare 500 Gigabytes il secondo - una velocità più che doppia rispetto ad altri sistemi presenti sul mercato - ed eseguire 80 teraflops (80mila miliardi) di operazioni nella stessa unità di tempo. «Ma a essere completamente nuovo è il linguaggio di analisi delle informazioni, il DeepQ&A - continua Linzi - ossia la comprensione del linguaggio naturale per applicazioni nel business ma anche e soprattutto nella scienza. Il primo campo di applicazione su cui stiamo lavorando è quello medico-scientifico. Quello che vogliamo creare è un assistente evoluto che supporti il medico nella fase di definizione della diagnosi. A fronte di domande poste in modo anche disordinato e non diretto, DeepQ&A può analizzare in pochi secondi tutte le informazioni possibili pubblicate (che potrebbero sfuggire al medico) per recuperare velocemente un ventaglio di diagnosi possibili, ognuna con un livello di confidenza (quindi di errore). Sta poi al medico, a secondo della sua sensibilità e delle sue valutazioni, scegliere quella idonea o anche scartarle tutte. L’obiettivo non è sostituirsi all’uomo ma aiutarlo a lavorare in maniera più efficiente, consentendo anche a coloro che non sono esperti di tecnologia di trarne vantaggi concreti».
Ibm ha avviato la prima collaborazione formale con Nuance - un’azienda specializzata in speech recognition per applicazioni nell'ambito clinico - per utilizzare DeepQA e Watson nella fase di diagnosi e trattamento dei pazienti. In più ha avviato anche collaborazioni con università e ospedali americani, come l’University of Ontario Institute of Technology, l’ospedale pediatrico di Toronto e l’Università della North Carolina, ma è solo l’inizio perché i campi di applicazione, oltre a quello sanitario, sono moltissimi, a partire da quello della finanza, della gestione del rischio, della prevenzione e gestione delle calamità, fino alla sicurezza pubblica e alla prevenzione dell’evasione fiscale e delle frodi. «Settori dove è necessario creare degli scenari alternativi utilizzando strumenti di analytics - conclude Linzi -; grazie alla collaborazione con Nuance potremmo considerare ragionevole la commercializzazione entro un anno, un anno e mezzo di DeepQA in ambito sanitario.

Nei prossimi mesi affineremo la tecnologia per le applicazioni anche negli altri settori».

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