Calearo, ora l’ex duro di Federmeccanica incita gli okkupanti

L’imprenditore veneto ex centrodestra e ora capolista nel Pd visita gli operai che da giorni presidiano un’azienda in crisi: «Tenete duro, non mollate»

Calearo, ora l’ex duro di Federmeccanica incita gli okkupanti

Il falco che diventa colomba è come il ranocchio trasformato in principe, roba da fratelli Grimm, una favola della buonanotte, l'ultima speranziella per il più brutto degli scapoli. Ora al libro delle fiabe da comodino va aggiunta la storia del «duro» di Federmeccanica che si tramuta in paladino degli operai dopo il bacio di Walter Veltroni. Perché qualche giorno fa nemmeno i 60 dipendenti rodigini della multinazionale giapponese Ajinomoto credevano alle loro orecchie. Loro che da giorni occupano l'azienda in crisi, si sono sentiti dire da Massimo Calearo: «Tenete duro, non mollate». Continuate a okkupare. Un invito da sindacalista, che ci si sarebbe aspettati da un Bertinotti. E invece è arrivato dall'imprenditore che fino a poche settimane or sono era il presidente degli industriali meccanici, che nel braccio di ferro per il rinnovo del contratto si era cucito addosso la fama di falco, mentre adesso è una colomba che vola nell'empireo veltroniano.
È una metamorfosi completa, quella di Calearo. Fino al mese scorso aveva l'inno di Forza Italia come suoneria del telefonino. Nel 2006 aveva organizzato nella sua Vicenza l'assemblea di Confindustria che segnò la riscossa di Silvio Berlusconi. L'estate scorsa incitava allo sciopero fiscale contro il governo rapace. Adesso invece ammette (Mattino di Padova di ieri) che «quella mia frase era il raglio del mulo che stava per essere soffocato dal peso eccessivo che trasportava». Proclama, senza troppo fair play, che «la prima legge che proporrò è che il presidente della Repubblica sia alto più di 1 metro e 71 cm, supertacchi compresi». E gira per le fabbriche facendo l'agit-prop, incoraggiando la protesta dei lavoratori contro i padroni.
Così, tra le tappe del tour in Polesine, ha inserito anche la Ajinomoto Bioitalia spa di Bottrighe (Rovigo), che produce amminoacidi per il settore farmaceutico e alimentare, azienda controllata da una multinazionale giapponese. Le maestranze sono riunite in assemblea permanente dal 27 febbraio, il 14 marzo è stata annunciata la liquidazione, il rinnovo della cassa integrazione è ancora incerto, per ora l'unico sbocco sembra la messa in mobilità. In campagna elettorale la fabbrica è meta di un incessante pellegrinaggio di politici. Calearo non ha voluto far mancare ai 60 dipendenti il suo sprone: «Il vostro caso non è quello di un'azienda decotta che si cerca di tenere in vita con le flebo ma una realtà industriale innovativa e tecnologicamente avanzata. Per questo dovete tenere duro e non mollare perché con il coinvolgimento delle autorità locali e nazionali si possa presto trovare una soluzione positiva e soprattutto un compratore che possa rilevare l'azienda».
L'Ajinomoto Bioitalia è in crisi da anni, l'amministratore Roberto Giordani ricorda che da 14 mesi si cerca invano un compratore «ma finora tra azienda, parti sociali e istituzioni non c'è stato nessun accordo». Piomba l'ex falco Calearo e promette che contatterà Bersani perché «bisogna tener calda la questione e la Regione deve prolungare la cassa integrazione a dicembre». «Voi non bloccate la produzione per un aumento di stipendio - ha incitato l'imprenditore candidato - ma per salvaguardare il posto. Dovete continuare a farlo fino a quando non troveremo una cordata in grado di rilevare l'azienda. Gli elementi per crederci ci sono tutti, c'è mercato, c'è prodotto, ci sono i clienti, presenterò questo caso anche a livello nazionale perché si trovi una cordata interessata».
Così l'imprenditore berlusconiano diventato veltroniano, il candidato democratico che ringrazia San Mastella di aver tolto di mezzo Prodi e si augura che non sia rieletto Visco il dissanguatore (che gli aveva strappato il «raglio del mulo»), continua il suo personalissimo slalom elettorale oscillando tra i paletti di una pista che non gli è congeniale.

Un giorno va in videochat a sentenziare che «lo Statuto dei lavoratori va certamente rivisto», un altro passa a distribuire pacche sulle spalle delle maestranze in lotta come se si fosse appena tolto la tuta blu, mentre evita di farsi vedere alla conferenza operaia del Pd a Brescia. «Volevamo un candidato di discontinuità», dice il numero uno del Pd veneto, Paolo Giaretta. L'hanno trovato.

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