nostro inviato a Torino
Per quarant'anni abbiamo tutti pensato che fosse sempre colpa di Andreotti. Ma dopo averlo neutralizzato con un processo per mafia durato dieci anni, ci siamo accorti che sapevamo fare benissimo da soli: l'Italia è sempre la stessa, bene o male. Ecco: la sensazione che si respira è più o meno la stessa davanti all'Andreotti del calcio, finalmente giustiziato sulla pubblica piazza, responsabile unico - in concorso col sodale Giraudo - di tutte le nefandezze dell'era moderna. Sì, l'impressione è che anche stavolta sapremo fare benissimo da soli: il calcio continuerà ad essere lo stesso, bene o male.
Il primo a giurarlo è proprio lui, Luciano Moggi, fresco detentore di un record ragguardevole: della pioggia di clemenza dispensata in secondo grado, è riuscito a non prenderne neppure una goccia. Esce com'è entrato: cinque anni di squalifica e patente pubblica di farabutto. È per questo che adesso decide di uscire dal silenzio, e di fare quanto sinora si è rifiutato di fare davanti ai giudici: difendersi.
Camiciola azzurra a righe bianche, sigaro in bocca, fronte rigata di sudore, per lanciare il contropiede sceglie l'albergo torinese dei gloriosi ritiri juventini. Come un ritorno a casa. Un'ora di monologo, affrontando punto per punto, con voce scandita e tono variabile. Per chi ancora avesse forze e voglia per rituffarsi nello scandalo dell'estate, ecco qui suonare l'altra campana. Vai a sapere dove stia la vera verità.
IL PREAMBOLO
Moggi si fa emozionato: «La gente si chiederà perché non mi sono presentato in aula. Che dire: mi sono dimesso, credevo di non essere più giudicabile da un tribunale sportivo. Purtroppo non è andata così. Qualcuno ha pensato di avere il giocattolo in mano, la coppia Moggi-Giraudo, e con questo giocattolo ha giocato. Ci hanno costruito sopra una bomba atomica. Moggi e Giraudo in mezzo, a prendere schiaffi da tutti. A questo punto, però, è bene che mi difenda davvero. Lo farò per me, ma soprattutto per la Juve, che non ha rubato nulla. Come dimostra l'ultima finale mondiale, praticamente Juve Italia contro Juve Francia. E avverto: lo farò fino all'ultima possibilità. Tutti adesso pensano d'aver fatto fuori Moggi. Calma, Moggi ancora devono farlo fuori...».
AL TELEFONO
CON GIRAUDO
Moggi si fa serio: «Cominciamo. I giudici dicono: da una telefonata tra me e Giraudo si capisce come noi giochiamo su due tavoli. In campo e fuori. In effetti, nel colloquio Giraudo mi dice che dobbiamo aggiustare le cose "all'interno e all'esterno". Subito la conclusione del grande accusatore Palazzi: l'esterno sono gli arbitri. Ma siamo di fronte alla pura fantasia. Mò ve spiego. L'interno sono i nostri giocatori, che spesso finivano per litigare su tante cose. L'esterno invece siete voi giornalisti, che queste polemiche alimentavate, creando dissapori in squadra. Guarda caso, non risultano telefonate tra me e gli arbitri. Devo essere sincero: mi è piaciuta molto la definzione che Diego Della Valle ha dato di Palazzi e del commissario federale Rossi. Com'è che li ha chiamati? Argonauti, no? Una cosa del genere. Certo da una telefonata si può tirare fuori quello che si vuole, con un po' di coraggio e di fantasia...».
FIORENTINA SUCCUBE
Moggi si fa incalzante: «Dicono in base ad altre due telefonate che la Fiorentina, ad un certo punto, si rassegna a farsi dominare da Moggi. Questa è una comica. Allora: dopo Milan-Fiorentina, Diego Della Valle mi chiama inferocito. Ne ha ben donde. Io gli do solo un consiglio, lo stesso che darei a chiunque: incazzati nelle sedi opportune. Fatti sentire, reclama. Lui mi dice di parlarne anche con suo fratello Andrea, che ha bisogno d'essere tirato su. Così faccio. Dicendo le stesse cose. Fine. Cos'è, la legge proibisce di dare normali consigli agli amici? Cos'è, sarebbe un peccato scandaloso avere rapporti con Moggi? Ma de che... Vogliamo scherzareeee???».
CONSIGLIO A PALAZZI
Moggi si fa fiero: «Già che ci sono, offro un consiglio anche all'accusatore Palazzi. Magari è troppo giovane, o troppo fuori dal calcio, per sapere. Se vuole capire quanti favori abbiamo ricevuto, prenda le prime quattro squadre degli ultimi quattro campionati e faccia il conto degli episodi a favore. O a sfavore. Vedrà, Palazzi, com'è favorita la Juve... La verità è che noi non abbiamo mai chiesto vantaggi: abbiamo soltanto chiesto di non essere danneggiati. È ben diverso. Ed è quello che fanno tutti i dirigenti, mi pare».
IL GIOCO
DEGLI AMMONITI
Moggi si fa interrogativo: «Le famose ammonizioni pilotate. È vero, in una telefonata dico: magari ci squalificassero qualche giocatore della Fiorentina, con cui avremmo giocato la domenica dopo... È l'augurio che si fa qualunque dirigente, che credete? Ma da qui a dire che si pilota... E comunque, se De Santis avesse lavorato per me, non avrei certo parlato di Bologna-Fiorentina. Sarei così ingenuo, io? Poco dopo c'era Fiorentina-Milan, proprio prima di Juve-Milan. C'erano diffidati Pirlo, Seedorf e Nesta. In campo le due squadre se le diedero di santa ragione, vinse il Milan. Eppure De Santis non ammonì nessuno dei tre...».
DE SANTIS,
BELL'AMICO
Moggi si fa sarcastico: «Sì, proprio un signor teorema, questo dell'amicizia di De Santis. Cito a caso: Juve-Parma 1-0, gol annullato a Cannavaro, allora del Parma. Quella volta ci fu una rivolta popolare, a Roma i tifosi laziali andarono sotto il Palazzo. Che caso: la domenica successiva la Juve perse lo scudetto nella palude di Perugia, a favore della Lazio... La verità va letta tutta. Il gol di Cannavaro, tanto per dire, veniva da un corner inventato contro di noi: senza il corner, niente gol. E ancora. Supercoppa 2004-2005: perdiamo per un gol annullato a Trezeguet, arbitro De Santis. Palermo-Juve 1-0: rigore negato a noi, arbitro De Santis. Parma-Juve 2-2, rigore non concesso per il possibile nostro terzo gol, arbitro De Santis. Sapete che ve dico? Se gli amici sono questi, meglio circondarsi di nemici».
MA QUALE SISTEMA
Moggi si fa rabbioso: «Dicono che io sapessi in anticipo i nomi degli arbitri e degli assistenti. Ma per piacere. Alle 11 avvengono i sorteggi, alle 11,10 tutti quanti possono sapere tutto. Basta una telefonata a chi sta lì, a Coverciano. I fax arrivano ai club alle 12,15, io lo sapevo alle 11,53: è davvero così strano? Via, non scherziamo. Altro che sistema. Bergamo e Pairetto parlavano con me e parlavano con tutti. Poi però hanno sempre fatto quel che volevano. Dico una cosa: se Carraro è assolto, se i designatori neppure li hanno giudicati, con chi facevo sistema? Non ci sono più complici. Diciamola tutta: nessuno parla di calciopoli, ma di Moggiopoli. In fondo, sono l'unico che va a fondo. Resta in piedi solo il sistema che vuole fregare noi...».
SEQUESTRO PAPARESTA
Moggi si fa irridente: «Premessa: non è assolutamente vero che sia vietato ai dirigenti andare dall'arbitro dopo la partita. È vero che dopo Reggina-Juve, completamente ribaltata dalla terna, io e Giraudo andiamo da Paparesta. Gli diciamo quello che pensiamo. Che quando c'è lui di mezzo a noi va sempre male. Poi ce ne andiamo. Uscendo, dico: bisognerebbe chiudere e buttare via la chiave. Ed effettivamente chiudo a chiave. Ma la do subito al dirigente della Reggina lì a fianco. Questo mostruoso sequestro dura al massimo 20. Così, come uno scherzo. Poi però Paparesta dice una cosa brutta: che non ha denunciato il fatto per paura di non arbitrare più. Strano. Com'è che la domenica dopo è già a Torino-Venezia, e la domenica successiva di nuovo in A?».
SPIONAGGIO INTERNAZIONALE
Moggi si fa 007: «Le famose schede telefoniche internazionali. Sai che scandalo. Purtroppo, viviamo in tempi di spionaggio industriale. E dovendo trattare giocatori, basta una soffiata per far saltare tutto, o per spendere di più. Meglio farsi furbi. Un cittadino italiano deve garantirsi la privacy da solo, visto che il garante non garantisce nessuno».
TUTTI A CENA
Moggi si fa scocciato: «Sì, andavo a cena con i designatori. Come tutti i dirigenti, o quasi. Collina ha detto che va a cena con Meani fin che gli pare, perché lo conosce da vent'anni. Pensate: io conosco Bergamo e Pairetto da trenta».
CANNAVOPOLI
Moggi si fa feroce: «La parte del leone l'ha fatta il dottor Candido, vecchio direttore della Gazzetta. Qualche tempo fa gli ho chiesto lumi su alcuni punti. Li riassumo. Primo: scandalo passaporti. Secondo: la frase di Gazzoni, "Facchetti ha fatto fidejussioni truccate". Terzo: le cene di Facchetti con i designatori. Quattro: l'intercettazione della telefonata tra Facchetti e Pairetto. Non ho ancora ricevuto risposte, da Cannavò. Strano, perché ho qui un suo articolo del 2001, in cui esigeva giustizia pesante per Inter e Lazio... Alla fine ha fatto più danni lui, al calcio: parlerei di Cannavopoli».
CARA INTER
Moggi si fa ironico: «Certo ci vorrebbe una tirata d'orecchie al presidente del Coni Petrucci, che ha scelto Rossi per fare il commissario straordinario. Magari pensare male è peccato, però qualcuno diceva che ci si prende. Rossi era legale e consigliere d'amministrazione interista... Ancora. Mi torna pure in mente una frase di Mancini, bravo come allenatore, un po' meno come uomo. Sette mesi fa, più o meno. Disse: a Moggi io non rispondo, dovrà rispondere lui nelle sedi opportune... Mi fa impressione. Diciamo che ci ha azzeccato. Ha intuito, quest'uomo».
IL PRONOSTICO
Moggi si fa sornione: «Signori, io mi fermo qui. Sono contento se nella sentenza d'appello qualcuno si è salvato. Certo, non sono contento per la Juve. Ma lo garantisco: la difenderò fino in fondo. Fino a quando tutto questo sarà smontato. Purtroppo, si sono fermati alle telefonate, senza scomodarsi a cercare i riscontri. Troppo facile così. Ma adesso tocca a me».
TAGLIO UMANO
Moggi si fa malinconico: «È un grande dispiacere, per me, essere ricordato per quello che manda in B la Juve. Ma c'è qualcosa che mi consola. Credo che la gente cominci a capire. Venendo qui, un signore al semaforo ha abbassato il finestrino e mi ha detto: non ci scorderemo mai i dodici anni di grandi sogni che lei ci ha regalato.
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