Calopresti racconta la Shoah per Spielberg

In «Volevo solo vivere» nove testimonianze di uomini e donne scampati allo sterminio

Michele Anselmi

da Roma

Semplicemente straziante. «Da Auschwitz si esce con le gambe, ma si resta col cuore. Noi siamo sempre là». Lo sussurra, con la voce appena incrinata dall'emozione, Nedo Fiano, fiorentino ma milanese d'adozione: aveva 18 anni quando fu deportato nel lager nazista assieme alla famiglia. Tutti uccisi, tranne lui, detenuto numero A 5405. Parlava bene il tedesco, la lingua degli aguzzini, e quel «dono» gli salvò la vita. Fiano è uno dei nove ebrei sopravvissuti, due dei quali nel frattempo scomparsi, che animano con le loro umanissime testimonianze Volevo solo vivere, documentario realizzato da Mimmo Calopresti per conto dello Shoah foundation institute for visual history and education. Insomma, per Spielberg. Settantacinque minuti lucidi e intensi, senz'ombra di retorica, con qualche tocco di commossa dolcezza. Giustamente nessuno ha applaudito, ieri mattina, al termine della proiezione stampa. Per la pena, il disagio, la vergogna.
Mischiando immagini provenienti da una decina di archivi, fotografie in bianco e nero e interviste a colori, il regista di La seconda volta s'è messo rigorosamente al servizio dell'intento didattico-pedagogico caro all'autore di Schindler's List. Non è stato facile scegliere le storie. Per due anni Calopresti ha visionato le interviste in lingua italiana, oltre quattrocento, raccolte tra il 1998 e il '99 dai ricercatori dello Shoah foundation institute, per arrivare a isolarne nove, appunto: quattro uomini e cinque donne scampati allo sterminio.
Spiega il regista: «Nei miei film, qualche volta, racconto presuntuosamente me stesso. Stavolta ho solo dovuto ascoltare, facendo un lavoro modesto, e credo mi sia stato utile». In realtà il montaggio del materiale, il dosaggio delle musiche, la selezione dei brani fanno di Volevo solo vivere un documentario più toccante e personale di quanto Calopresti voglia far intendere. Bene fa Raicinema, che coproduce, a distribuirlo nelle sale da venerdì. Per partire, cinque copie nelle città principali (il documentario, se non satirico-politico alla maniera di Michael Moore e Sabina Guzzanti, è un genere che tira poco), ma con un prologo simbolicamente importante: proprio il 27 mattina, in occasione della Giornata della Memoria, 1500 studenti delle scuole romane lo vedranno all'Auditorium nel quadro del progetto «Noi ricordiamo».
Per questo c'era anche Walter Veltroni alla Casa del cinema. «In una civiltà bulimica e facile come la nostra, tutto ciò che trasferisce memoria è una meraviglia», ha scandito il sindaco, sottolineando il valore di quelle testimonianze. «Diciamo la verità: non è da tanto che s'è ricominciato a parlare di Shoah. Per molti sopravvissuti è stato difficile ricordare. E però quando si comincia, non si finisce». È il caso di Shlomo Venezia, classe 1923, da Salonicco. Arrestato nel '44 e deportato ad Auschwitz-Birkenau, fu obbligato a «lavorare» nel Sonderkommando, il gruppo di prigionieri addetto alla cremazione dei corpi.

A migliaia ne ha visti avviarsi verso le finte docce, a migliaia, pigiati nei forni a coppia, l'uno sull'altro, ne ha visti trasformarsi in cenere. Nei primi anni Novanta, quando trovò la forza di ricordare, lo pigliavano per matto. Ieri ha detto: «Ai negazionisti posso raccontare scalino per scalino come si moriva nelle camere a gas».

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