Calvini, Bono, la Fiom e la partita della vita

Calvini, Bono, la Fiom e la partita della vita

(...) Tizio e Caio e al fatto che quest’ultimo un giorno ha litigato con Sempronio. Dallo Yacht Club a Confindustria tutto viene letto con questi occhiali, con questi strumenti.
Che non sono i miei occhiali, che non sono i miei strumenti. Che, soprattutto, in questo caso, non sono gli strumenti della verità: perchè la sospensione del pagamento delle quote associative per Confindustria non riguarda solo Genova, ma anche Gorizia, dove Finmeccanica e le nomine di Finmeccanica c’entrano come i cavoli a merenda. Quindi, non bastassero le rassicurazioni in merito degli uomini di Fincantieri, ci sarebbe la prova provata che la vicenda è un’altra.
Certo, metterla sul personale è molto più facile. Derubricare il tutto - come hanno fatto alcuni giornali e, sottotraccia, alcuni esponenti della Confindustria genovese - a una gelosia degli uomini di Bono nei confronti di quelli di Guarguaglini, ricondurrebbe tutta la vicenda nell’ambito della bega da strapaese. Ma non è così. E, fra l’altro, non va dimenticato il peccato originale di Fincantieri che, al momento della designazione del presidente genovese, seguendo probabilmente le indicazioni che arrivavano dal governo, scelse Giovanni Calvini, anzichè Vittorio Malacalza. Scelta sbagliata. Non per la persona di Calvini - che è comunque un ragazzo perbene e mette impegno nella gestione dell’associazione, che sarebbe ingeneroso non riconoscergli - ma perchè con Malacalza, uno dei migliori imprenditori italiani, si sarebbe volato altissimo. Anzichè navigare sottocosta.
Ma, per l’appunto, il problema è un altro. La sospensione del pagamento delle quote da parte del colosso cantieristico di Stato - uno dei gioielli italiani nel mondo guidato da un amministratore come Bono che, dopo aver fatto il pieno di commesse di navi da crociera con Carnival, sta facendo altrettanto con quelle militari in mezzo mondo - riguarda proprio il Dna della Confindustria genovese. Il fatto di non sentirla in prima linea nella partita della vita di Fincantieri, ma anche dell’intera industria italiana: quella della produttività, del costo del lavoro, dei rapporti sindacali. Persino della formazione, con un nuovo «avviamento» che dia lavoro ai nostri giovani, anzichè un’università che sforna disoccupati.
In una parola, Bono - che ha fatto il Marchionne molto prima di Marchionne - avrebbe voluto che Confindustria fosse al suo fianco nella battaglia contro l’assenteismo, contro un sindacato che ha un modello di fabbrica che è quello del Novecento, fordista, anzichè uno che guarda al futuro, che sta sul mercato in un mondo globalizzato e che vuole evitare di combattere le armi nucleari dei competitor mondiali con le cerbottane di cui vorrebbero dotarla i sindacati italiani.
Tutto questo, si badi bene, non vuol dire fare macelleria sociale. Non so come voti Bono, ma certo non è un’ultrà di destra. Tutt’altro. Soprattutto - e qui sta il punto centrale - in un patto sociale fra lavoratori e datori di lavoro, avrebbero da guadagnarci tutti, perchè anche gli stipendi volerebbero insieme alla produttività.
Eppure, la Fiom, i metalmeccanici della Cgil si scandalizzano di tutto questo. E, fra Bono e Confindustria, scelgono Confindustria, loro avversaria storica: «L’amministratore di Fincantieri ha spesso elogiato le scelte della Fiat» ha spiegato preoccupato Alessandro Pagano, capo del settore navale della Fiom; «La scelta di sospendere l’adesione a Confindustria di Genova ci preoccupa. Come non ripensare alle dichiarazioni di Bono che inneggiava al “metodo Marchionne“? Sarà un caso, ma è difficile credere alle coincidenze» ha rincarato la dose Bruno Manganaro, segretario della Fiom genovese.


Insomma, la Fiom sta con Confindustria e Fincantieri non sta in Confindustria (e, a Genova, nel mondo della politica e in quello degli opinionisti, nessuno dice e scrive nulla per commentare quello che succede). Dov’è l’errore?

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