Cambia la lingua Adesso il Giappone parla in italiano

Cambia la lingua Adesso il Giappone parla in italiano

Qualche anno fa un sondaggio globale certificò che i più stupidi del pianeta per i giapponesi erano gli italiani. E viceversa. Ma purtroppo o per fortuna i giudizi e i pregiudizi (e i gusti, le idiosincrasie e i tic) del cosiddetto popolo bue non si riproducono esattamente nelle élite. Da sempre e in ogni dove, infatti, i ceti illuminati e coltivati da sempre hanno le possibilità di guardare al mondo con spirito critico e soprattutto di scegliersi i modelli al di là dei confini nazionali.
Morale, nell’impero del Sol levante la moda dell’italiano, inteso come lingua, è ormai un’onda lunga che investe tutti i settori: ristorazione, trasporti, servizi, editoria, edilizia, abbigliamento, profumeria, gioielleria... Un fenomeno che ha indotto il nostro Istituto di cultura di Tokyo, in collaborazione con l’Università per stranieri di Siena, a un’indagine che lo spiega così: agli occhi e alle orecchie dei giapponesi abbienti un’automobile, una brillantina per capelli, un palazzo e una rivista acquistano un connotato di eleganza e di prestigio se hanno un nome italiano o che sembra tale. E la qualità del prodotto si riverbera automaticamente sul suo consumatore, che acquistandolo certifica il proprio status di privilegiato. Una leva di marketing alla quale in Giappone solo gli irriducibili nazionalisti, magari fanatici del suicidio rituale, rinuncerebbero.
Scherzi a parte, per i nipponici di ceto medio alto, attratti dall’Occidente interessati alla sua storia e, soprattutto, dotati di buona capacità di spesa, la nostra lingua è sinonimo, più dell’inglese e del francese, di arte, cultura e raffinatezza. Al contrario, ad esempio, dello spagnolo. Questo perché i giapponesi coltivati e benestanti considerano l’Italia la culla della civiltà europea e snobbano, ignorandolo educatamente, tutto quanto è iberico e, peggio ancora, latinoamericano.
Ma oltre a questa ragione culturale, la ricerca ne mette in evidenza una tutta linguistica. Nel Sol levante, non a caso, la trascrizione alfabetica dei caratteri giapponesi si chiama «Roma-ji». Questo perché la nostra lingua «suona» facile per i nipponici, più facile dell’inglese e del francese che meno si prestano a una netta divisione in sillabe. Il che comporta che molti nomi italiani, ma anche latini come «Ipsum», «Salus», sono usati completamente fuori contesto, scelti solo per come suonano.
Ed ecco che a Tokyo e nelle altre grandi città dell’arcipelago i grattacieli si chiamano «Verona» e «Mia casa» e le residenze di lusso «Casa fiore», i centri commerciali vengono battezzati «Toscana» e i ristoranti, anche quelli che propongono i piatti della cucina internazionale, espongono insegne dove si legge, quasi sempre in caratteri latini e con qualche errore di ortografia, «Donna», «Buonissimo», «Ciappuccino», «Caffè euro», «Torattoria», «Pappare», «Buono Cucina» e «Pizzeria Baggio». Le agenzie di viaggio si chiamano «Qualità» e i centri estetici «Bene» e «Sonno» mentre i parrucchieri di lusso mettono in vetrina grottesche diciture cubitali tipo «Barbiere Belva», imitati dai panettieri trendy delle stazioni che si chiamano «Ferro Vie». Per un suo motorino la Honda ha scelto il nome «Dio», una società di autotrasporto si chiama «’O Sola mio».
E ancora, nei supermercati si trovano i collant «Sabrina», il gel per capelli «Uno» nonché bibite che sulle cui etichette si legge, «Demitasse», «Limone» o «Caffè latte». Il gelato più buono «Sincerità», il gioiello di classe si chiama «Gala», il cibo biologico «Organica», la rivista ecologista-chic «Pacifico», i periodici femminili più patinati «Oggi», «Domani» e «Grazia», il garage dei ricconi «Porta», i parrucchieri da donna «Hair Vita» e «Forme», l’impresa che svuota i cestini delle multinazionali «Cel-Pulire», le lenti a contatto «Te Amo», i profumi esclusivi «La Casta» e «Sempre», gli anelli del fidanzamento da sogno «Pipi», le biciclette di tendenza «Pizzicato» e «Fini», le auto «Serena», «Corolla», «Silvia», la discoteca culto «Free Tempo»...


Impossibile, infine, tralasciare il ristorante «Burrari», con un sorridente maialino rampante che sovrasta il nome scritto con il carattere del marchio di Maranello, e la catena di negozi di abbigliamento, maschile, che si chiama «Cazzo». I capi in vendita, nonostante il nome, sono di ottima qualità...

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