Cambiamo le regole

Il sipario si è chiuso. Sul governo, sulla maggioranza e sulla legislatura. Chi non vuole vedere il disastro che è sotto gli occhi di tutti continuerà a discutere nelle prossime settimane sulla irresponsabilità di Silvio Berlusconi e dei suoi alleati che hanno portato il Paese al voto con una pessima legge elettorale. E i tanti professori che hanno creato i guasti politico-istituzionali degli ultimi 15 anni ricorderanno che Veltroni aveva chiesto un governo per soli 3 mesi per approvare una nuova legge elettorale. Cosa sarebbero stati tre mesi in più se avessimo avuto una nuova legge elettorale capace di garantire stabilità e governabilità? Niente, naturalmente, sempre quando Veltroni e compagni avessero proposto davvero una nuova e più moderna legge elettorale. Ed invece i rimedi che proponevano erano peggiori del male. Vediamo perché. I Democratici di sinistra e la Margherita per 15 anni hanno spiegato al Paese che il sistema maggioritario con l’aggiunta del premio di maggioranza e la definizione delle alleanze prima delle elezioni erano la salvezza del Paese così come l’abolizione del voto di preferenza era il ripristino di una legalità lesa dal cosiddetto voto di scambio. Il tutto accompagnato dalla grancassa dei referendari.
Berlusconi, Bossi, Rifondazione comunista e alcuni democristiani nel 1998 tennero un convegno in cui dicevano l’esatto contrario sostenendo il sistema proporzionale, il voto di preferenza e il primato del Parlamento nel definire le alleanze politiche. Questa è la fotografia fedele delle posizioni degli ultimi 15 anni. La proposta, invece, del Partito democratico fatta propria dal presidente del Senato Marini lasciava: a) la possibilità, che di fatto era un obbligo, di definire le alleanze fuori dal Parlamento e cioè in cabina elettorale; b) l’indicazione sulla scheda elettorale del candidato premier; c) il premio di maggioranza alla coalizione vincente trasformandolo da esplicito in uno implicito, attraverso la soglia di sbarramento e il rimpicciolimento delle circoscrizioni elettorali, dividendo il premio tra i due partiti maggiori sperando, così, di contenere il suo disastro elettorale; d) l’abolizione del voto di preferenza visto che i collegi uninominali proposti prevedono che il nome del candidato fosse già stampigliato sulla scheda e non scelto dal cittadino elettore.
Per dirla in parole semplici, insomma, la proposta del Partito democratico aveva sostanzialmente lo stesso impianto della legge elettorale attuale con la sola modifica di una spartizione a suo favore del premio di maggioranza. Lasciamo dunque al lettore giudicare la serietà di una proposta che per essere credibile sarebbe dovuta partire dal rimettere nelle mani del Parlamento le decisioni delle alleanze politiche e nelle mani degli elettori la scelta del candidato da eleggere. Il primo ministro come in tutte le grandi democrazie parlamentari non poteva che essere il segretario del partito di maggioranza relativa.
La verità, dunque, è tutta un’altra ed è tutta politica. La sinistra italiana ha dimostrato di non poter governare visto le pesanti contraddizioni al proprio interno e lo smarrimento di un’identità politica sempre più sbiadita e generica. Non sono più comunisti né democristiani, non si sentono socialisti e nessuno sa chi e cosa esattamente siano. La saggezza imporrebbe allora di dichiarare definitivamente chiusa la stagione del bipolarismo straccione e del maggioritario vestito da proporzionale e di scegliere tra una vera democrazia parlamentare con tutto quel che ne consegue e un sistema presidenziale con i naturali contrappesi tra cui innanzitutto quelli di un libero Parlamento, di una Corte costituzionale e di una magistratura autonoma, indipendente ma responsabile.

Ecco perché la prossima legislatura dovrà essere costituente, garantendo nel contempo un governo del Paese più stabile e più coeso di quello visto all’opera in questi due anni. Tutto il resto sarà solo propaganda elettorale e per di più di basso profilo.

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