La Camera sfratta i giudici di Milano

RomaTrecentoquattordici: lo stesso numero magico che salvò il governo Berlusconi a dicembre, sulla mozione di sfiducia. Con 314 voti contro 302 la Camera dei deputati ha approvato ieri la richiesta di sollevare di fronte alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, dopo la richiesta di rinvio a giudizio del premier per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile.
Una prima zeppa negli ingranaggi del processo Ruby, approvata da un’aula di Montecitorio col pienone delle grandi occasioni. Banchi del governo gremiti: mancavano solo Berlusconi e il titolare dell’Interno Maroni, impegnato in frenetiche trattative in Tunisia; deputati di maggioranza convocati «senza eccezione alcuna» (il ministro Alfano è dovuto rientrare in anticipo da una missione negli Stati Uniti); opposizione presente in massa nella speranza di uno scivolone imprevisto. Che non c’è stato, anzi: ai votanti già acquisiti al centrodestra si sono aggiunti ieri anche i due Liberaldemocratici Italo Tanoni e Daniela Melchiorre, coppia di indefessi pendolari delle diverse maggioranze. Eppure nelle file del Pdl non si respirava l’entusiasmo del voto di dicembre: la quota 330 evocata dal premier resta lontana, e il capogruppo del Pd Dario Franceschini ironizza: «I 330 Berlusconi se li sogna, oggi abbiamo assistito a un’altra pagina vergognosa per il Parlamento». Tocca a Umberto Bossi rassicurare sulla tenuta della maggioranza: «Anche se non siamo a quella cifra, i voti di oggi sono più che sufficienti per andare avanti. Sono tranquillissimo, il governo va avanti ed è solido».
Sette deputati di maggioranza mancavano però all’appello. Per lo più giustificati, a cominciare da Berlusconi: un paio malati («Sul serio», giurano in casa Pdl), uno impegnato per il funerale di una «persona cara», un altro ancora in Argentina dove peraltro risiede, in quanto eletto all’estero. Il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto assicura: «La maggioranza tiene e si allarga, e comunque si è ribadito il fatto che il tribunale dei ministri è competente a giudicare su questo processo nei confronti di Berlusconi e non chi in questo momento sta portando avanti il processo». Poi manifesta qualche sospetto per la diffusione dei numeri dei votanti, riferiti ai giornalisti dagli esponenti del Pd, spiegando che in questo tipo di votazione (per appello nominale senza registrazione dei nomi) l’unico dato che viene reso pubblico in aula è quello dello scarto tra maggioranza e minoranza, in questo caso di 12 voti. «Evidentemente - dice Cicchitto - quelli dell’opposizione hanno qualcuno, forse ai vertici della Camera, che li informa».
Ora toccherà alla presidenza della Camera designare il legale che dovrà redigere il ricorso alla Consulta, spiegando perché si ritiene che la competenza a giudicare il premier non sia della magistratura ordinaria che sta procedendo ora, ma del Tribunale dei ministri. Se la Corte costituzionale dovesse dichiarare ammissibile il ricorso e giudicarlo successivamente fondato nel merito, il processo di Milano contro Silvio Berlusconi verrebbe bloccato, e il procedimento dovrebbe ripartire presso il tribunale dei ministri. Previa autorizzazione della Camera, che in quel caso sarebbe chiamata a votare la procedibilità nei confronti del premier. L’intera procedura del ricorso, a quanto si prevede in base al calendario della Consulta, non si concluderà prima del prossimo autunno. Nel frattempo andrebbe avanti il giudizio della quarta sezione del tribunale di Milano. A meno che, dopo la preliminare ammissibilità del conflitto, i giudici di Milano non ritengano opportuno sospendere, in attesa che la Consulta chiarisca definitivamente se spetti alla Camera o meno l’ultima parola.
Nel breve e serrato dibattito che ha preceduto il voto, il Pd Castagnetti ha accusato la maggioranza: «State trasformando il Parlamento in una sorta di collegio difensivo allargato. Volete creare le condizioni per un conflitto tra le istituzioni». Gli ha risposto per il Pdl Antonio Leone: «C’è un odio nei confronti di Berlusconi che fa perdere di vista l’orizzonte in cui valutare correttamente le decisioni.

La Camera ha una sua prerogativa costituzionale da difendere, che è quella di autorizzare o meno la sottoposizione alla giurisdizione ordinaria del presidente del Consiglio e dei ministri per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni. Un potere che non può essere messo in discussione e che non è rinunciabile da parte delle Camere».

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