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Cammarelle&Valentino, l’oro della camera 559

Due ori alla 559. La stanza delle meraviglie e dei pugni d’oro. Quella del gatto e la volpe, detta con Francesco Damiani. La stanza d’albergo dove Roberto Cammarelle e Domenico Valentino hanno cullato sogni per dodici giorni e ieri si sono sfogati sul ring del Forum, almeno 8000 fedeli sulle tribune. Un bel colpo d’occhio. Spettacolari e determinati, figli di una boxe che riscopre tutta la nobiltà. Due semifinalisti e due ori mondiali: sa tanto di miracoloso, non miracolistico vista la stoffa dei pugili. Il diretto sinistro di Cammarelle ancora una volta è stato quello del game over: con questo ti stendo. Miscela di precisione, velocità, potenza. «Un colpo da professionista, ma io amo fare il dilettante». Ed infatti nel secondo round l’ucraino Kapitenko è stato contato due volte, prima di chiudere in piedi il terzo round (10-5). Niente male a confronto di paesi che si sono portati un esercito di sputafuoco. Due titoli pure ai russi che avevano 6 finalisti ed una schiera di 150mila praticanti, uno solo alle altre sei nazioni, anche se giudici e macchinette hanno rubacchiato con insolente spudoratezza.
Due ori come due anni fa a Chicago, quando Cammarelle e Clemente Russo mostrarono lo stordente raccolto. Nell’Italia delle donne al potere è arrivato il giorno della rivincita dell’Italia in calzoni. Non restavano che i pugni, avendo fallito in ogni altro modo. I mondiali di boxe si sono chiusi come le olimpiadi: un italiano sul podio e l’inno di Mameli per tutti. Roberto Cammarelle ha occupato ogni spazio della storia: campione olimpico e due volte mondiale, tre anni di fila sul podio, un cubano all’europea. I mitici Stevenson (4 titoli) e Savon (6 titoli) hanno inanellato strisce più lunghe, ma questo bronzo bianco da un metro e 92 ha dimostrato di essere il migliore in tanti modi. Non a caso gli è stato consegnato il trofeo di miglior pugile. «Anche se lo meritavo di più alle Olimpiadi». D’accordo, forse gli avversari non sono stati il top della eccellenza, si è vista bella boxe sotto altre bandiere, ma vincere tre ori di fila è il segno del potere e del destino.
L’Italia si lucida gli occhi con due ragazzi che ci portano da nord a sud, mostrandoci la piccola grande storia della nostra boxe. Un gigante da 108 chili che comincia per C, come tornassimo al Carnera da leggenda, nato 29 anni fa a Cinisello Balsamo, alle porte di Milano. Uno scugnizzo 25enne di Marcianise, peso leggero da 60 kg, che ama fare il verso ai cubani e che, dopo aver riempito di pugni il portoricano Pedraza (9-4), un tipo «chiuso come un riccio», dice il nostro, si è messo a piangere come un bambinello. Eppure nella vita fa il poliziotto, il suo diretto destro fa paura, sul ring si è trovato in svantaggio 3-1 ma quando ha cominciato a mulinare le lunghe braccia sono stati guai per l’altro. Non poteva mandare all’aria l’avventura: «Una medaglia che pesa, anche se qualcosa mi resterà sempre sullo stomaco finché non vincerò una olimpiade: il mio sogno». Intanto se la porterà addosso. «Sarà il decimo tatuaggio». Si, sotto la maglietta è tutta una geografia. Ma anche i pugni lasciano il segno. Con Cammarelle in comune la fame di vincere e quella per i danari. Si spiega Valentino: «Al mio paese dicono che i soldi fanno venire la vista ai ciechi». Ed allora meglio aprire un bar piuttosto che darsi ai reality. «Però se pagano bene...».
Bruciano voglie di riscatto. Tutt’altro rispetto al gigantone che pensa alla famiglia e al bimbo cui ha dedicato il titolo e al conto in banca. Aveva scommesso su se stesso con la federazione: «Non voglio premi per bronzo o argento. Ma se vinco l’oro pagate doppio». Ed ora passerà ad incassare: un oro da 100mila ero.

Pesante come lui.

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