Cammilleri e il giallo di Porta Pia

Da una vita si occupa tutti i giorni di santi, pur avendo la casa intasata da una strabiliante collezione di Batman d’ogni foggia e dimensione. E da una vita s’è rassegnato a essere confuso con Camilleri, quello con una emme sola, che di nome fa Andrea ed è nato come lui ad Agrigento: riceve persino dagli editori le copie d’obbligo dei romanzi scritti dall’altro, nonostante abitino il primo a Milano e il secondo a Roma.
Adesso Rino Cammilleri ha deciso di rinnovare la sfida all’omonimia e torna a vestire i panni del giallista. Di solito fa il saggista. Negli anni ha sfornato una trentina di libri, fra agiografie e opere sulle utopie, sull’Inquisizione, sui miracoli mariani avvenuti durante l’invasione napoleonica. Ma ogni tanto gli piace cimentarsi col giallo storico. Ci ha provato con L’inquisitore, enigma medievale che è stato tradotto in sei lingue. Poi con l’apocrifo Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo. Infine con I delitti della stanza chiusa.
Il suo nuovo libro, Immortale odium (Rizzoli), è una corposa detective story ambientata in un anno imprecisato tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900. È lecito chiedersi perché mai uno scrittore di area cattolica si dedichi al giallo, un genere che parrebbe quanto mai lontano da certi orizzonti culturali. Ma non va dimenticato che Chesterton coniugò fede e investigazione nel prete-poliziotto padre Brown, Lewis si cimentò con i romanzi di fantascienza (Le Cronache di Narnia) e Tolkien con opere fantasy come Il Signore degli Anelli. Certo, non potendo spargere efferatezze e sesso nelle loro pagine, gli scrittori cattolici devono faticare molto più degli altri per avvincere e intrigare. Resta il fatto che il giallo è il genere deputato più d’ogni altro alla ricerca della verità e della giustizia, valori cristiani per eccellenza.
Così è per Immortale odium, che si legge volentieri e scorre ch’è un piacere. Cammilleri dimostra di amare l’italiano soggetto-predicato-complemento che un tempo s’insegnava nelle scuole. Nel romanzo gli ingredienti giusti vi sono tutti: misteriosi delitti, una società segreta riesumata, un complotto infernale, la corsa contro il tempo. Il bandolo viene offerto dal diavolo in persona nel corso di un esorcismo.
A dimostrazione che storico e giallista lavorano in sincronia, il plot prende le mosse da un fatto realmente accaduto. Nella notte del 13 luglio 1881, a Roma, la salma di Pio IX venne traslata quasi in sordina nella basilica di San Lorenzo, ma il corteo funebre fu attaccato da un manipolo di fanatici anticlericali che, fra insulti e bestemmie, volevano scaraventare nel Tevere il cadavere del pontefice. La breccia di Porta Pia era stata aperta da dieci anni. Il Papa si considerava prigioniero in Vaticano e il governo liberale dell’Italia appena unificata ce lo lasciava volentieri. L’ipotesi che la Santa Sede dovesse trasferirsi all’estero appariva tutt’altro che campata in aria, così come la prospettiva che la Città del Vaticano venisse espugnata a mano armata. «Immortale odium et numquam sanabile vulnus», odio immortale e ferita mai sanabile, era la scritta incisa sulla medaglia coniata per «premiare» coloro che avevano partecipato all’attacco alla bara di Pio IX. Fin qui la storia.
Da questo evento reale prende le mosse il thriller. L’autore immagina che, parecchi anni dopo, un misterioso assassino si metta a uccidere tutti i possessori di quella medaglia.

E qui sarà bene fermarsi, perché quando si recensisce un giallo è più quel che non si può dire. Ma un’ultima cosa si deve pur dire: Cammilleri dimostra di non avere soltanto una emme in più rispetto al suo quasi omonimo.

Rino Cammilleri, Immortale odium (Rizzoli, pagine 404, euro 19)

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