In cammino verso la modernità Il Risorgimento secondo Volpe

«I talia modernissima» è la formula che lo storico Gioacchino Volpe scelse per contrassegnare la Penisola, intesa come entità storico politica, che si affacciava sullo scacchiere europeo ai primi del Novecento. È «l’Italia dell’anteguerra» segnata da grandi trasformazioni sociali, legate all’industrializzazione, che catapulta le masse nel ruolo di nuove protagoniste della storia ma è anche il Paese alla ricerca di una comune base ideale e culturale capace di cementare lo Stato Unitario. Nei primi anni Venti, in sede storiografica, si sviluppa un serrato dibattito sui caratteri dell’Italia post-unitaria, una sorta di bilancio dei primi decenni di esistenza dello Stato nazionale italiano. Ad animarlo Benedetto Croce e Gioacchino Volpe, il primo con la Storia d’Italia dal 1871 al 1915, il secondo con il saggio L’Italia in cammino (ora ristampato dall’editore Donzelli, con l’introduzione di Salvatore Lupo, pp. 205, euro 27,00), due libri apparentemente in contrapposizione ma nella sostanza complementari.
Il punto di partenza è il Risorgimento, definito come un «complesso di valori morali» in cui cultura e politica furono «una cosa sola». Ma il riconoscimento del valore risorgimentale non deve far perdere la consapevolezza dei limiti del processo unitario. Il dato formale della consacrazione dell’Unità, pur importante, evidentemente, non è tutto, non esaurisce il tema della partecipazione alla costruzione nazionale. Alla base dello Stato italiano c’è un difetto d’origine, «molte province e regioni sono entrate passivamente nel nesso unitario», il percorso dell’Italia libera appare contraddittorio, segnato da effettive spinte all’unificazione che però incrociano riflussi verso la frantumazione.
Volpe introduce due spunti nuovi per l’epoca: la nazionalizzazione delle masse e il valore del lavoro degli italiani. «Pochi paesi sono stati così trasformati e quasi creati a forza di lavoro come l’Italia, zolla dopo zolla, nei piani pantanosi o lungo le pendici di roccia viva», annota lo storico. Le difficoltà, soprattutto quelle sociali, sono evidenti ma la formazione dell’Italia va avanti e si consolida con la partecipazione popolare e con un «progressivo assorbimento da parte dello Stato della nazione italiana». A dispetto di un certo autolesionismo, nell’industria, nel commercio, nelle opere pubbliche, nel sistema bancario, nella modernizzazione dell’agricoltura, l’Italia, a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, progredisce a passi forzati. Per Volpe lo statista di questa era è Francesco Crispi, vero innovatore prima del Giolitti caro a Croce.
L’Italia è anche il Paese che sperimenta nuovi percorsi intellettuali tesi alla ricerca di un nuovo spirito nazionale. E l’Italia di riviste come il Regno, Leonardo, delle correnti filosofiche che porteranno al socialismo, al nazionalismo e al sindacalismo rivoluzionario. Le avanguardie culturali, soprattutto quelle fiorentine che sfoceranno nell'esperienza decisiva della Voce, muovono un vasto progetto di rinnovamento culturale teso a sprovincializzare la vita italiana e con essa ad agitare le coscienze rendendole «meno inchiodate su pregiudiziali». Volpe condivide l’insofferenza verso l’Italia pedante, «l’insofferenza della vanità della vita politica italiana», la ristrettezza di pensiero che mostrano le classi dominanti. La modernizzazione delle idee è la precondizione per la modernità strutturale del Paese, c’è un «bisogno di cose alte».


L’Italia che muove i passi nel primo Novecento, nella visione di Volpe, è un paese migliore di quello che appare, «lo spirito italiano aveva fatto alcuni progressi» anche se il traguardo di uno Stato paragonabile alle grandi nazioni europee era ancora lontano, soprattutto mancava ancora una classe dirigente.

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