Milano sta vivendo forse la più lunga campagna elettorale della sua storia recente. Prima le politiche, il 9 aprile, e poi le amministrative: 28 maggio il primo turno e il 12 giugno l’eventuale secondo turno.
A fine gennaio il centrosinistra ha convalidato con il rito delle primarie la designazione, già decisa dai vertici, dell’ex prefetto Bruno Ferrante a suo candidato sindaco. Da parte sua, Letizia Moratti aveva accettato di candidarsi per la Casa delle libertà già in dicembre, pur dopo una fase di attesa forse fin troppo lunga. Il dibattito sulle rispettive candidature, comunque, era cominciato da tempo e in autunno, di fatto, prescindendo da primarie e accettazioni, i nomi dei due competitori per palazzo Marino erano già noti e scontati: Moratti versus Ferrante. Su questi nomi, dunque, i rispettivi schieramenti si confrontano e si scontrano fin dall’autunno scorso. Stiamo vivendo, dunque, una campagna elettorale che durerà all’incirca otto mesi, settimana più settimana meno.
D’altra parte, potremmo pure ricordare che nella primavera scorsa i milanesi hanno aperto la loro grande e interminabile stagione delle urne andando a votare per le regionali e che da allora il dibattito politico-elettorale non si è mai interrotto, proiettandosi inevitabilmente sulle politiche e sulle amministrative: tenendo conto anche del voto lombardo, dunque, dovremmo concludere che i milanesi si trovano a vivere una competizione elettorale di eccezionale lunghezza, non meno di diciotto mesi.
Ebbene, pur considerando la politica - mettendoci al riparo da ogni forma di qualunquismo - una delle espressioni più alte e nobili della vita sociale, un anno e mezzo a parlare di elezioni mi sembra francamente troppo.
È vero, anche altre città - Roma, ad esempio - stanno vivendo la stessa situazione, lo stesso prolungato accanimento elettorale. Ma i romani forse sono più avvezzi a una vita vissuta solo o prevalentemente nella dimensione politica. Una dimensione che non può assolutamente essere esclusiva per i milanesi. I quali, diversamente da come li rappresenta il luogo comune, sono molto interessati alle vicende della politica ma solo come una delle forme di rappresentazione dell’esistenza.
Insomma, il rischio che comporta, a Milano più che altrove, questa interminabile campagna elettorale - tanto più se tenuta a livelli di tensione costantemente alti - è quello della crisi di rigetto, di un rifiuto infine dell’urna.
Per questa volta ormai è fatta, va così. Ma forse il prossimo governo potrebbe pensare a meccanismikautomatici di sovrapposizione delle scadenze elettorali in modo da evitare per il futuro che si ripetano analoghe situazioni di prolungato stress da elezioni.
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