Roma - È iniziata a diventare una certezza sul finire di maggio. Quando sceso in Sicilia per un tour elettorale tra Trapani e Palermo erano stati solo baci, abbracci, strette di mano e un continuo urlare «Silvio salvaci tu». Dai bambini con la maglietta del Milan al pensionato di ottant’anni. Al punto che la settimana scorsa, davanti alla cattedrale di San Martino a Lucca, un signore sulla quarantina si era presentato a Paolo Bonaiuti mostrando i palmi delle mani: «Non le dico come mi chiamo perché non voglio nulla. Le faccio solo vedere i calli, calli da manovale. E vi chiedo di mandarli a casa». Scene, chiosava qualche ora dopo il medico personale del Cavaliere Alberto Zangrillo, «che a raccontarle nessuno ti crede». Anzi, «rischi pure di passare per un mitomane». Così, visti anche i fischi che andava incassando nelle sue apparizioni in pubblico Romano Prodi, Silvio Berlusconi ha iniziato a provarci un certo gusto. E ha deciso di giocarsi la carta elettorale fino all’ultimo. Nonostante le perplessità e le cautele del suo entourage e dei suoi più stretti collaboratori, quasi tutti convinti che politicizzare il voto fosse un errore. A loro, il Cavaliere ha più d’una volta risposto rispolverando una vecchia battuta del suo repertorio: «Ma non vedete che il vento è cambiato? Non la sentire in giro questa atmosfera da aridatece er puzzone?».
Così, da qualche mese a questa parte è stato un via vai tra Arcore, Roma, Portorotondo e decine di mete elettorali. Con tanto di intermezzo calcistico in quel di Atene per la finale di Champions league del Milan. E mai Berlusconi si è risparmiato, al punto che il giorno dopo il malore di L’Aquila Zangrillo ha dovuto sudare sette camicie per fargli annullare il comizio pomeridiano a Olbia (dopo che non aveva comunque rinunciato a quello mattutino di Vicenza). Il tutto condito da un deciso cambio di passo, sotto il profilo della comunicazione e pure dell’immagine. Sulla seconda, si è già dissertato, perché il Cavaliere «scravattato» è stato subito oggetto di dotte disamine. Meno, invece, si è parlato della prima, nonostante i due fattori siano legati a doppio filo. Perché in un attimo (tra il voto in Sicilia di metà maggio e i primi di giugno) Berlusconi non solo ha deciso di mettere da parte la cravatta - lui che ai suoi deputati e senatori ha sempre regalato quelle di Marinella a pacchi di cinque - ma ha pure archiviato i soliti leit motiv per puntare alla pancia dell’elettorato. Insomma, «basta con il politichese» perché «dobbiamo parlare alla gente», anche «a rischio di scadere nel populismo». E dunque tasse, sicurezza, scuola, famiglia.
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