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Campane a festa e caroselli d’auto nel Cuneese

«Siamo resuscitate». Sono le prime parole di suor Caterina Giraudo dopo la fine di un incubo durato 102 giorni. Lei e la consorella Maria Teresa Olivero sono state liberate ieri dai predoni islamici che le hanno tenute prigioniere in Somalia. «Sto bene, sono felice, immensamente felice di essere con i piedi sulla terra libera in Kenya» ha esultato suor Maria Teresa alla Radio Vaticana. I due ostaggi sono stati rilasciati nelle notte fra mercoledì e giovedì. Con un volo speciale, organizzato dai servizi segreti, sono partite da Mogadiscio e atterrate a Nairobi, la capitale del Kenya. Qui le attendeva l’ambasciatore italiano, Pierandrea Magistrati, che le ha portate nella sua residenza. La notizia della liberazione è arrivata in Italia poco dopo le 13. «La fede ci ha aiutato al cento per cento – ha spiegato suor Olivero alla Radio Vaticana - Se non era per la fede penso che non ce l’avremmo fatta». «Liberandoci, ci hanno resuscitate – ha commentato suor Caterina all’emittente vaticana - Abbiamo vissuto in grande angoscia questi 102 giorni di prigionia. Le persone che ci hanno recluse dicevano che volevano soldi, solo quello». Secondo il ministro degli Esteri Frattini non c’è stato nessun blitz e non è stato pagato nessun riscatto. Caterina Giraudo, 67 anni, e Maria Teresa Olivero, 60 anni, sono originarie entrambe della provincia di Cuneo. Fanno parte del «Movimento Contemplativo Missionario P. de Foucauld» e da trent’anni aiutavano gli ultimi in Africa. Le hanno rapite il 9 novembre nella missione di El Wak, in Kenya, ad un passo dal confine somalo. I sequestratori hanno messo a ferro e fuoco la cittadina cercando, probabilmente, due americani, ma senza trovarli. Così hanno preso le suore, portandole prima nella loro roccaforte somala di Bardehere, nella regione del Gedo (Somalia sud occidentale). Poi sono state trasferite a Mogadiscio. «Ci trattavano bene. Ci davano anche l’acqua buona, nei contenitori sigillati da 20 litri», raccontano le suore. «Io parlo un po’ il somalo e abbiamo instaurato un rapporto amichevole (con i rapitori) – spiega suor Caterina – È stata una grazia, ma con loro non abbiamo mai affrontato temi religiosi».
I sequestratori si definivano «shabab», in somalo significa gioventù, ma il termine è diventato il marchio di fabbrica dei talebani somali. «Abbiamo avuto paura - ha ammesso suor Olivero - ma anche tanta speranza. Grazie, grazie, grazie al Santo Padre che ci è stato tanto vicino». E aggiunge: «Cercavo di non pensare troppo, perché il cuore scoppiava. Senza notizie il tempo non passava mai. Ci siamo fatte coraggio l’una con l’altra». Le fa eco suor Giraudo: «Abbiamo passato il tempo pregando e la preghiera ci ha salvate e sostenute. Così come la certezza che non eravamo sole, che Dio ci era vicino e che tante persone pregavano per noi». Nella residenza dell’ambasciatore italiano a Nairobi le due suore hanno abbracciato le consorelle evacuate da El Wak dopo il rapimento. Appaiono in buone condizioni, avvolte da scialli colorati, e sorridenti mentre si stringono con le compagne di fede. Il portavoce Vaticano padre Federico Lombardi ha subito espresso «la grandissima gioia» del Papa per la liberazione. Il presidente de Consiglio, Silvio Berlusconi, ha sottolineato la propria soddisfazione per essere riusciti a lavorare «nella massima riservatezza. È stata una cosa difficile e lunga per la situazione politica della Somalia», ma «finalmente ci siamo riusciti».

Nel giro di una settimana le due suore rientreranno in Italia.

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