Campari si rafforza in Brasile con Sagatiba

In una giornata così disastrosa per le Borse mondiali, è ancora una volta l’economia reale che dà un po’ fiato alle notizie. Campari, uno dei marchi italiani più celebri, ha compiuto una nuova acquisizione: il marchio leader della cachaça di qualità in Brasile. Si chiama Sagatiba ed è il brand più importante nel segmento alto del mercato, sul quale si sta spostando, per effetto del crescente benessere, buona parte della popolazione. Quindi un’acquisizione non grande (26 milioni di dollari l’investimento, ovvero 18 milioni di euro, coperto tutto con mezzi propri), ma fortemente strategica. E non isolata: visto che in Brasile il gruppo Campari dal 2000, quando entrò con l’acquisto di una serie di marchi locali, è leader incontrastato di mercato. Anche i numeri confermano queste dimensioni: il Brasile sui conti semestrali di Campari vale il 7,9%, quindi oltre 46 milioni sui 589,1 del periodo gennaio-giugno.
I conti dei 6 mesi diffusi ieri hanno illustrato un gruppo sano, liquido, dinamico, in crescita e ben diversificato sui mercati mondiali. Da manuale. Qualche spiegazione di queste affermazioni: i debiti finanziari sono scesi rispetto al 31 dicembre, da 677 a 669 milioni; fatturato, margine lordo e utile netto crescono rispettivamente del 14,2%, del 19,9% e del’8,7%. I prodotti sono oggetto di una valorizzazione che ha la sua espressione più vistosa nell’Aperol, sempre più posizionato sui mercato internazionali e che ha avuto uno «straordinario sviluppo» in Germania. Dal punto di vista geografico, infine, le vendite sono intelligentemente distribuite: il mercato italiano pesa per il 35,6%, il resto d’Europa per il 23,9%, le Americhe per il 32,3, il resto del mondo, grazie anche alla nuova piattaforma distributiva in Australia, per l’8,2%.
Il gruppo guidato dall’ad Bob Kunze-Concewitz (che ieri ha detto: «Restiamo ottimisti sulle prospettive del 2011») ha per tradizione una costante crescita per via interna, con la valorizzazione dei propri prodotti, e per linee esterne, attraverso acquisizioni. Solo negli ultimi due anni sono stati comprati cinque marchi (i più noti sono il bourbon Wild Turkey e il liquore Frangelico) e un distributore per il mercato russo. Le acquisizioni avvengono in gran parte con mezzi propri, visto il florido cash flow dell’azienda, e infatti l’indebitamento nel semestre si è ridotto. Poche settimane fa, festeggiando i dieci anni di quotazione in Borsa, Kunze-Concewitz ha quantificato in 500 milioni di euro la cifra disponibile, calcolando sia la liquidità sia la leva ancora utilizzabile sul debito.
In dieci anni Campari ha triplicato le vendite (da 434 a 1.164 milioni), l’Ebitda (da 106 a 299 milioni), l’utile netto (da 53 a 156). Il titolo, prima dell’ultimo mese da brivido per le Borse, aveva guadagnato il 274% in dieci anni, e anche in questi giorni è stato uno di quelli che meglio si sono difesi.
Quali sono i perchè di questo successo? Ovviamente i prodotti, innanzitutto.

Ma Campari è allo stesso tempo una multinazionale e una società familiare (famiglia Garavoglia), con decisioni rapide e una intelligente parsimonia sui dividendi, perchè viene prima l’azienda dei soci. In un mercato di massa, essenziale è lo strumento pubblicitario: infatti la cifra relativa anche nel primo semestre è significativamente cresciuta, del 17,5%, a 105,8 milioni, pari al 18% delle vendite.

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