«La Camusso? Mai lavorato in fabbrica»

MilanoLa giovane Camusso non lo sopportava, e in privato lo chiamava «il caposcala»: intendendo che avesse il livello culturale dei vecchi responsabili di caseggiato del Partito comunista. Sono passati trent’anni. Susanna Camusso è diventata segretario generale della Cgil: il posto di Di Vittorio e di Lama. Lui, Cesare Moreschi, 72 anni, leader comunista della Fiom milanese negli anno Ottanta, è in pensione: ma non ha perso la vecchia abitudine di organizzare, e così presiede il comitato degli inquilini di via Padova, la controversa casbah multietnica della periferia milanese. Ma continua a tenere d’occhio quel che accade nel sindacato. E ha seguito con un occhio di riguardo l’ascesa della ragazzona bionda che era la sua «vice» negli anni ruggenti del sindacalismo metalmeccanico.
Moreschi, si aspettava che Susanna Camusso arrivasse così in alto?
«Francamente no. E credo che non se lo immaginasse neanche lei. È un posto importante, ma anche gravoso».
Che tipo era la Camusso, ai suoi esordi da sindacalista?
«Non molto diversa da adesso, direi. Se non ricordo male era arrivata alle 150 ore, i corsi di formazione per lavoratori, attraverso la Uil. Ma quando la Flm, che era il sindacato unitario dei metalmeccanici, iniziò ad andare in crisi, lei scelse di stare con noi, con la Fiom Cgil. E poco dopo entrò in segreteria. Era una donna abbastanza intelligente, una che svolgeva bene i compiti che le venivano affidati. Il problema è che non aveva mai lavorato in fabbrica in vita sua. E quindi aveva la visione del modo di fare sindacato che era classica di chi non veniva dal lavoro dipendente: cioè preferiva affidarsi alla teoria più che misurarsi con le condizioni concrete di chi in fabbrica ci stava».
Non andavate molto d’accordo, sembra di capire.
«Venivamo indubbiamente da culture diverse. Lei era molto affascinata dal mondo delle relazioni industriali, da un rapporto in cui si dava molta importanza al rapporto diretto con la controparte, al capire le ragioni delle aziende. Noi, come Fiom, su questo eravamo fin troppo rigidi: pensi che rifiutavamo gli incontri informali con le controparti per timore di venire sottoposti a pressioni, a condizionamenti, a ricatti. Lei invece era molto disponibile. E lo vedo anche nel suo atteggiamento attuale. È un modo di fare sindacato non voglio dire sbagliato o illegittimo, ma diverso dalla nostra cultura di quegli anni».
Insomma litigavate di brutto.
«Ci furono momenti di discussione anche aspri, perché a volte la accusavamo di portare avanti opinioni personali e non la linea dell’organizzazione. Non era solo la Camusso, sia chiaro: c’era un tipo di dirigenti sindacali che la sua legittimazione più che dal rapporto con i lavoratori se l’andava cercando nel rapporto con chi stava dall’altra parte del tavolo, con gli esponenti di Confindustria, di Federmeccanica, o i capi del personale delle grandi aziende. Per noi invece contava solo l’organizzazione e il rapporto con la base, con la fabbrica».
Lei comunista, la Camusso socialista. Contava anche questo?
«Erano anni in cui il rapporto con i partiti di provenienza era forte. Ma devo dire che quando lo scontro tra Pci e Psi divenne frontale, all’epoca del decreto del governo Craxi sulla scala mobile, la Fiom fu in prima linea nella battaglia. E in quella occasione la Camusso non condivise apertamente ma ci lasciò fare, e anzi sotto sotto ci diede una mano. D’altronde dalla base, dalle fabbriche c’era un’opposizione molto forte ed era difficile per tutti non tenerne conto».
Oggi la Camusso si trova a gestire una Cgil profondamente divisa al suo interno, a gestire il dissenso dei duri della Fiom.
«Io con alcuni dirigenti della Fiom attuale, come Giorgio Cremaschi, mi sono scontrato per anni. Ma credo che la posizione della Fiom sia molto meno isolata di quanto si voglia far credere. Non sono solo i metalmeccanici, dentro la Cgil, a ritenere che la linea Marchionne punti a cancellare il sindacato come forza organizzata».
E in questo caos come se la caverà, la Camusso? Ha stoffa sufficiente a tenere in piedi la baracca?
«Da sola non può decidere. Dipenderà dai consiglieri che avrà intorno, da chi la aiuterà a ragionare.

Se trova accanto a sé qualcuno che le spieghi chiaramente qual è la posta in gioco, cioè la essenza stessa del sindacato, allora potrà farcela. Se invece si fa influenzare dalle campagne mediatiche, se entra nel personaggio di donna di ferro che le stanno cucendo addosso, di quella che saprà imporsi, mettere in riga i dissidenti, beh: allora sarà un disastro».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica