Canale Monterano, il paese che visse due volte

Quello antico, abbandonato, è una «città morta» suggestiva e romantica

Sull’ampio territorio che circonda il paese, situato tra i monti della Tolfa e quelli sabatini, non lontano dal lago di Bracciano, soffia ancora il respiro degli etruschi. Siamo a Canale Monterano, nell’area che, sin dal VII secolo a. C., era abitata dalle popolazioni più antiche della mitica Etruria. Ed è a questa fase storica che risale il toponimo di Monterano derivato, forse, dalla dea etrusca Marturna da cui Manturanum e, quindi, in epoca medievale, Monterano. L’attributo «Canale» è, invece, cinquecentesco e si riferisce alla coeva struttura urbanistica disposta intorno a un canale. In principio, tutto il territorio di Monterano si ritrovò infeudato ai Prefetti di Vico ma, nel 1492, il Castello e il Feudo furono acquistati, senza colpo ferire, dagli Orsini. È da questo momento che inizia la storia vera di Monterano, soprattutto da quando entro i suoi confini vennero a stabilirsi i numerosi coloni, toscani e umbri, i quali costituirono i nuovi insediamenti di Canale Monterano e di Montevirginio. Un altro momento di straordinaria fioritura economica, l’antico borgo lo visse quando, nel 1671, il feudo fu acquistato dagli Altieri, potenti principi romani molto ammanigliati, allora, al Soglio pontificio. Gli Altieri, intanto, vollero affidare la sistemazione, anche urbanistica, del nuovo patrimonio alla fantasia estrosa del grande Gian Lorenzo Bernini. Se, poi, durante e dopo il secolo XVIII, i campi di Monterano si trasformarono in insalubri e malarici acquitrini, non fu colpa della illustre casata degli Altieri, ma della crisi, amministrativa, politica ed economica che investì l’intero Stato pontificio.
Da vedere. È chiaro che la meta più interessante è quella che si dispiega tra le più affascinanti testimonianze di una storia che discende direttamente dalle magie dei lucumoni etruschi. Da qui, anche, i resti dei sepolcreti e delle necropoli sempre coperti da una fitta vegetazione che aggiunge ancor più fascino all’arcano di un paesaggio che non ha eguali tutto intorno. Restano invece più vicine nel tempo riletture o le rivisitazioni, delle imponenti arcate dell’acquedotto, le rovine della Chiesetta di San Rocco, alcune parti del Palazzo feudale e il campanile della Cattedrale di Santa Maria, eretta quando Monterano era sede vescovile. Questi sono i resti della cosiddetta «Città morta» che si arricchiscono con gli effetti scenografici, suggestivi e romantici della diruta Chiesa di San Bonaventura (1677-79) e con l'attrattiva, piuttosto misteriosa di una lunga serie di tombe rupestri. Invece, la Canale Monterano di oggi conserva, davanti al Palazzo comunale, l’antica e pregiata fontana del Leone e la bella chiesa dell’Assunta eretta da Mattia de’ Rossi, ma edificata, forse, seguendo un progetto berniniano. All’interno del tempio è custodita una Madonna in legno proveniente anch’essa, come la fontana del Leona, dal vecchio paese. Infine, lungo corso della Repubblica sorge la prima chiesa costruita a Canale nel 1500, ora Sacrario dei caduti. All’interno un interessante affresco cinquecentesco raffigurante i misteri del Rosario.
Da mangiare e da bere. L’economia di Canale è essenzialmente agricola oltre agli olivi e ai cereali è particolarmente sviluppata la viticoltura con la produzione di un buon vino, già preferito da papa Paolo III. Costituiscono una discreta fonte di reddito anche i folti boschi di castagno. E all’agricoltura e alla pastorizia è strettamente collegata la qualità della cucina locale, genuinamente paesana.

Da qui alcune ricercate qualità: squisiti affettati e sapidi formaggi; fettuccine e pappardelle rigorosamente fatte in casa e servite al sugo di cinghiale; sformati di verdure e eccezionale «tocchi» di carni alla griglia o al forno a legna. Il vino, ovviamente, è quello di papa Paolo.

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