Roberto Scafuri
da Roma
Non si può dire che ai tempi di Togliatti e Berlinguer le liste del Pci pullulassero di candidati dotati di «autonomia». Però di personalità ce nerano, il luogo del dissenso era il Comitato centrale, il «centralismo democratico» lo conteneva, ma la selezione dei quadri dirigenti funzionava. Oggi che il meccanismo elettorale dà alle segreterie tutto il potere - e ogni struttura sceglie la faccia che più la rispecchia - il quadro è peggiore. E il Botteghino di Fassino si presenterà con un volto diverso e in gran parte desolante: fuori deputati e senatori anche esperti, dentro signorsì, apparatchik, amici degli amici. «Un partito delle mogli», ironizza la Velina rossa dalemiana.
La rivolta serpeggia da tempo, non scoppierà mai. Chi ha potuto se nè andato con la Rosa nel pugno o verso Rifondazione. Altri non se la sono sentita. Dopo la direzione di oggi che dovrebbe sciogliere i nodi irrisolti, se non cè posto in lista, resta la speranza. A molti degli esclusi sono stati promessi posti da sottosegretario, nelle istituzioni, negli enti di ogni ordine e grado. Quando si scoprirà che linsieme delle poltrone promesse non copre che un decimo dei posti a disposizione (sempre che siano a disposizione), sarà tardi. Uno dei primi a capirlo, a predisporsi alla rinuncia volontaria e dignitosa, è stato qualche mese fa il deputato bolognese Sergio Sabattini. Largo ai giovani, anche se giovani non sono. Così sono caduti sul campo nomi di prestigio. Fuori il noto avvocato napoletano Vincenzo Siniscalchi, «salvi» Roberto Barbieri e Giuseppe Petrella (questultimo incappato nello scandalo delle raccomandazioni alle Usl). Fuori o quasi il coriaceo giornalista Rai Beppe Giulietti, dentro il tenebroso ma pallido Umberto Ranieri.
Lorenzo Forcieri, già questore del Senato, è stato accusato di aver organizzato una raccolta di firme nello Spezzino per la ricandidatura e, con il pretesto, sarà lasciato a casa (gli è stato promesso di fare il sottosegretario alla Difesa). Laura Pennacchi, già competente sottosegretaria di Visco al Tesoro, pure. Il senatore extra-liberal Franco Debenedetti idem. Con lui leditore Passigli, Grazia Pagano, lex leader sindacale Pizzinato, il giudice Ayala, lex rifondatrice Bolognesi, Elena Montecchi eccetera. «Invidio la sublime indifferenza con la quale DAlema ha evitato di occuparsi dei suoi amici», ha dichiarato con ironia Siniscalchi. Meglio è andata al collega Guido Calvi, rimesso in lista in deroga alla norma sui due mandati. Regola double-face, però, visto che il magistrato Gianni Kessler è stato fatto fuori dopo una. Per salvare il posto al dalemiano Giorgio Tonini.
In alcuni casi si è usato un metodo più soft, vedi il caso di Franco Bassanini: non più in lista in Toscana, né nella natia Lombardia, si è ritrovato in Sicilia orientale al quinto posto (nella circoscrizione si attendono quattro eletti). Fassino gli ha detto: «Non ne sapevo nulla». Anche lex direttore dellUnità, ex fedele dalemiano, Peppino Caldarola, si è ritrovato «sepolto» assieme a Nicola Rossi rispettivamente allottavo e settimo posto in Puglia, dopo una pattuglia di dalemiani sconosciuti ai più. Ma non certo al Capo. Faide e sgambetti per trovare posti a gente fidata, di famiglia, magari in credito con il partito. Casi di «cannibalismo», li ha definiti un deputato sardo escluso, Pietro Maurandi. Con le unghie e con i denti dovrebbe salvarsi Famiano Crucianelli, mentre la Margherita si ripromette di ripescare Giulietti, se escluso.
La coppia Pannella-Boselli, con la Rosa nel pugno, ha indotto in tentazione molti dei «trombati».
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