Candido, il secolo dei Lumi a colpi di satira

Di solito capita con Goldoni, Pirandello o Beckett. Questa volta è successo con Stefano Massini. Nel fine settimana, tre teatri milanesi avranno contemporaneamente in cartellone spettacoli tratti dai suoi testi. Di Frankenstein, ossia il Prometeo moderno, in scena all’Elfo di via Menotti fino a domenica, il drammaturgo trentacinquenne firma anche la regia. La fine di Shavuoth viene invece riproposta al Ringhiera nell’allestimento di Cristina Pezzoli, dopo aver debuttato nel gennaio 2009 al Litta. La commedia di Candido, in scena al Carcano fino al 21 marzo con la regia di Sergio Fantoni (info: 02-55181377, www.teatrocarcano.com), rappresenta infine per Milano un’assoluta novità. Massini l’ha scritta appositamente per Ottavia Piccolo, già interprete nel 2008 di Processo a Dio, il terzo capitolo di una quadrilogia (pubblicata dall’editore milanese Ubulibri) che ha rivelato il talento del giovane autore fiorentino. Stando al suo sottotitolo, il Candido è «l’avventura teatrale di una gran donna, tre grandi e un grande libro». La gran donna in questione è Augustine, ex attrice che per sbarcare il lunario lavora come domestica in casa Diderot. Il Diderot di cui stiamo parlando è proprio «quel» Diderot: il filosofo illuminista a cui si deve la pubblicazione dell’Enciclopedia. Nei testi di Massini la verosimiglianza, la fedeltà al dato storico (e talvolta il rispetto filologico del dettaglio, della notizia appresa da una ricerca d’archivio) è di massima importanza. Quindi non c’è da stupirsi se gli altri due grandi protagonisti della commedia sono Voltaire e Rousseau: proprio loro, esattamente i due pensatori per come ce li descrivono le fonti dell’epoca. Anche il grande libro è proprio «quel» Candido, racconto filosofico che Voltaire pubblica effettivamente nel 1759, suscitando un acceso dibattito nel mondo culturale europeo. Il teatro di Massini è quindi da considerarsi realistico e magari persino naturalistico? Tutt’altro. Nel sottotitolo dello spettacolo l’accento batte sulla parola «avventura», sull’aspetto immaginario e rocambolesco della vicenda. La scrittura di Massini crea insomma una sorta di «metarealtà», una finzione che può risultare credibile tanto è ben incastonata (e talora mimetizzata) in un contesto storico perfettamente delineato. Perciò anche in questa commedia, che ricostruisce i rapporti fra i tre filosofi come effettivamente erano (cioè pessimi), assistiamo alla messinscena di un’ipotesi, di una congettura attorno a un libello potenzialmente deflagrante. Mandata in missione da Diderot, Augustine ha il compito di valutare la portata dell’ordigno, ma riesce solo a mettere alla berlina il suo inventore. E con lui tutti i maggiori intellettuali del Settecento che, per vanità e doppiezza, assomigliano in maniera inquietante a quelli odierni.

Tra le righe di questa vicenda ambientata nel secolo dei Lumi, Massini tratta questioni molto attuali: la libertà di pensiero, l’emancipazione femminile, l’intolleranza e l’integralismo religioso. Ma lo fa con quel tono divertito e irriverente che è il miglior antidoto alla saccenteria degli intellettuali.

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