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Cantona, la follia del vero attore

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Tifosi devastano una villa mentre vanno a seguire il Manchester United in trasferta. Sono giovani mazzieri del National Front? No, sono maturi postini sindacalizzati, quindi laburisti, intervenuti per un collega (Steve Evets) umiliato dai delinquenti che abitano la villa per aver voluto sottrarre i figli alla malavita. Ecco in sintesi uno dei rari film che non si dimenticano, Il mio amico Eric di Ken Loach, presentato all’ultimo Festival di Cannes. Ideato da Eric Cantona stesso, produttore oltre che comprimario, lo spunto deriva da Harvey, dove un coniglio accompagnava il personaggio di James Stewart, unico a vederlo. Anche lo spettatore, oltre al postino, vede però Cantona nel ruolo di se stesso mentre dialoga col tifoso nei guai. Lo fa senza prendersi sul serio, con l’autoironia che di solito agli sportivi (e agli artisti) manca quanto ai politici. Il culmine è nel dialogo dove il postino dice: «Ma anche tu sei un uomo!».

Sguardo perduto nell’orizzonte, colletto della maglietta alzato, il mito vivente replica: «No, sono Eric Cantona!». Si esce sognanti, pensando al motto dei tifosi non del Manchester United, ma del Liverpool e del Genoa: «You’ll never walk alone».

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