Caos bagagli e risse: è anarchia

Fiumicino«Mein Gott hilf mir!» sussurra sconsolato padre Franz in un misto di supplica e irritazione, quest’ultima certamente non rivolta al cielo ma alle righine elettroniche che ballano colorate nello schermo lassù. È lungo e allampanato il prete in borghese col crocifissino al bavero, anzianotto, il viso buono ma ormai al limite della disperazione. Più che a terra, le braccia spalancate sono rivolte al gruppo di carrozzelle che gli parcheggia attorno, giovani e anziani handicappati che dipendono da lui e da pochi altri volenterosi. Padre Franz ha scoperto che il volo per tornare a casa è stato cancellato. Chi lo aiuta ora, a riprendere la strada per Roma con la sua carovana dolente, telefonare alle monache pregandole di ospitarli nuovamente, e insostenibile è l’incertezza, mein Gott: quando finirà questa storia?
Benvenuti nella bolgia infernale di Fiumicino, peggio di quanto immaginato da Dante, che aveva almeno un Caron dimonio pronto ad imbarcarlo. Secondo giorno di caos, disperazione e rabbia, quello di ieri. E nessuno, tan meno Alitalia e i suoi sparuti uomini dietro i banchi di accettazione, che sappia dire se oggi torna la calma, se e quali voli saranno cancellati. L’amara verità, vista dai mucchi di bagagli e dai grappoli umani che vi si abbarbicano, è che regna l’anarchia più completa, d’un tratto l’aeroporto della Capitale è tornato agli anni lontani degli scioperi improvvisi e senza regola, ad «aquila selvaggia».
Nemmeno a trovarne una di queste «aquile» sotto le volte dei terminal dove schiere di passeggeri stan sospese come nel limbo. Nel varco tra il terminal A e quello B sventolano stanche le bandiere del sindacato Sdl e del partito dipietrista. Ci son cartelli e volantini attaccati sui muri, campeggia una «lettera aperta a tutti i passeggeri Alitalia», dove gli scioperanti spiegano le loro ragioni e concludono: «Continuate a volare con noi, continuate a volare Alitalia».
Volare con voi? Ditelo a quel gruppetto attonito di emigrati che alle 17 s’aggira ancora coi carrelli carichi d’ogni cosa, senza saper dove andare. «Sono partito alle 4 del mattino dal paese per prendere l’aereo a Lametia», racconta il signor Francesco che doveva prendere il volo AZ650 per tornare a Toronto. «Sono arrivato puntuale, qui abbiamo fatto il check-in, ma cinque minuti prima di imbarcarci ci hanno detto che il volo era cancellato. Dopo due ore, ci hanno fatto riprendere le valigie. A mezzogiorno è venuta una ragazza, «chi è diretto a Toronto mi segua» ci ha detto portandoci dal terminal C al terminal A. Vede che ora abbiamo fatto? Io sto ancora e soltanto col caffè di stamattina. Dicono che ci porteranno in albergo, e che partiremo domani. Mi hanno dato un telefono, 06-2222, ma non risponde nessuno». Più che arrabbiato, è deluso e ferito: «Io vivo e lavoro in Canada, è da 42 anni che volo Alitalia. Ma questa è l’ultima volta, mai più Alitalia». La moglie però, gli gela queste parole sulle labbra: «Ma che dici, è l’Italia!». Lui si pente fulmineo: «Sì è vero: questo non lo scriva. Anzi, speriamo che l’Alitalia si riprende presto». È così anche per il signor Mario, che torna (?) in Canada da Sora ma non sa come avvertire la figlia che lo aspetta invano a Toronto. E per il giovane Enrico che da Genova è partito un’ora prima, poiché gli avevano cancellato quel volo; ma ora è fermo a Fiumicino e pensa alla moglie in Canada che oggi compie gli anni: «Se buco mi ammazza», sorride. Vedi quanto può, l’amor di patria?
Al bar «Piazza di Spagna» ovviamente gioiscono, stan vendendo come pazzi. Caffè a litri? «Meno male che no, qui scorre già troppa adrenalina», risponde la bella cassiera, «panini vendiamo, montagne di panini in più».
Sugli schermi, accanto alle targhette verdi della compagnia «di bandiera» è una litania di Flight cancelled o delayed. Ai banchi della Meridiana tutto scorre tranquillo e normale, da Air One c’è la solita calca ordinata della compagnia che ormai è prima nei voli nazionali, dei cento banchi d’accettazione Alitalia ne sono aperti una decina scarsa. Ed è qui che premono serpentoni umani di frustrazione, stupore e rabbia. «Scheisse Alitalia!», sibila Gisela Kraft mostrando due carte d’imbarco dell’AZ436 per Monaco: stessa ora, 15.15, una in data 10 e l’altra 11 novembre. Ma son trascorse due ore e lei è ancora qui, «chi sa tove sono miei pacagli», e chissà se riuscirà a partire. Al banco 132 esplode una rissa tra francesi, saran 300 che aspettano in piedi da ore, e due giovani non hanno rispettato il serpentone: gli saltano addosso in massa rimettendoli di peso in fondo, scandendo parolacce. Se passa un pilota, potete giurare che se lo mangiano vivo.
«Noi qui prendiamo insulti», sorride l’impiegato Alitalia mentre alle sue spalle brilla beffardo il cartello dei Diritti del Passeggero: «In caso di mancato imbarco, o di volo cancellato, rivolgersi a...». Sì, rivolgiti. Ma dove li sta imbarcando questi poveretti? «Ma che ne so», risponde quello mestamente, «qualcosa parte, poi non parte... Era meglio se restavo a casa anch’io». Poi spiega che poiché l’azienda non sa quanti e chi sono gli scioperanti, si cancellano i voli all’ultimo minuto, quando l’equipaggio non s’è presentato. È così che nel mare del caos, si perdono anche i bagagli. E la tensione sale pure in Sala Vip, perché quelli della Rai appresso a Berlusconi, avevano imbarcato al mattino bagagli e telecamere, poi l’aereo non è partito, loro han cambiato vettore, ma a sera nessuno era in grado di ritrovare i loro attrezzi.
Sarà così anche oggi, par di capire.

Sul marciapiede dove i taxi scaricano passeggeri diretti all’inferno, i giardinieri stanno rinnovando le aiuole. Bottle brush rossi fuoco, campanule viola, come stesse arrivando una splendida primavera. Sì, la primavera dell’Alitalia.

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