Per capire la politica, basta guardare i telefilm

Se è vero che per capire l’Italia degli anni Cinquanta bastava un’ora e quaranta minuti di Poveri ma belli o de I soliti ignoti, e se è vero che per capire l’America degli anni Novanta bastava un quarto d’ora di Pulp fiction, con i dialoghi tra i due killer su come si cucina l’hamburger, oggi a raccontare i tempi ci sono i telefilm (in onda sul satellite, sulle generaliste, sul digitale). La dicono lunga sul pasticcio della modernità, svelano i tic, insistono sulle debolezze, riprendono i vizi, mettono a copione le sconfitte. Ma raccontano anche come mai, o grazie a cosa, ogni tanto si vince.
Come in Csi, dove chi deve, trionfa sempre. È l’America di Bush prima di Bush (per l’epoca della messa in onda, la serie iniziata nel 2000). L’America del controllo, la minaccia-garanzia del «qualsiasi cosa farai, ovunque sarai, io ti troverò». La scienza che tiene la società sotto controllo. La scienza che governa la società. La scienza che tiene a bada tutto ciò che sfugge. L’illuminismo televisivo.
Grey’s anatomy è l’America di Obama prima di Obama (è cominciata nel 2005): cattiva, determinata, nasconde i suoi pregi ma alla fine è solidale e sentimentale. Rompe il fortino dei rapporti uomo-donna tutti che fanno l’amore con tutti e si perdonano. Tra l’altro si vede che è fatta da una donna, non ce n’è una davvero desiderabile mentre i maschi sono tutti fighissimi. Uno per tutti l’inarrivabile Patrick Dempsey. In realtà basterebbe lui per far concludere alla dottoressa Cristina Yang (interpretata da Sandra Oh): «La chirurgia è sexy. È come i marines. È da macho. È ostile. È da duri».
Desperate housewives è l’America di Clinton, quella dell’ipocrisia cortese. L’età vittoriana cent’anni dopo e mentre l’Impero sta andando a pezzi. Le tendine col pizzo alle finestre della cucina e il cadavere in cantina. A ogni protagonista corrisponde un mistero. Ad ogni idillio una crepa. Il soggiorno in ordine e i vetri sotto al tappeto. La fede al dito e l’amante in garage. Il controllo apparente, il caos sostanziale.
Dr House sembra di sinistra ma in realtà è di destra. In realtà House è proprio Berlusconi. Ogni tanto aggira le regole per pragmatismo, convinto com’è di aver trovato la soluzione che gli altri stanno ancora cercando. E infatti, è col colpo di genio e con la visione che arriva in un secondo mentre tutti gli altri si perdono nei meandri delle ipotesi. Frega il traguardo e tutti lo perdonano perché è House. Sembra Obama ma è Berlusconi.
Lie to me è Veltroni. (Il povero Bersani non capirà mai chi mente a un batter di ciglia e non verrà mai chiamato dalla Cia a risolvere nulla). Veltroni sì, è amico di tutti, l’eroe da telefilm che viene chiamato a vendicare i buoni e i giusti. Il protagonista, Cal Lightman, esattamente come l’ex sindaco di Roma, è convinto che il bene trionfi se si è buoni e che tutti siano lì ad aspettare di far passare avanti i giusti. Lightman-Veltroni è sveglio, vede lontano ma poi ha bisogno che arrivi la polizia (cioè qualcun altro) perché da solo non vince mai.
Shark è l’avvocato delle «Libertà». Il professionista dell’individualismo e del senso dello Stato, il perfetto pidiellino. A volte adatta un po’ le regole ma gli obbiettivi sono lodevoli. E poi ha l’aria dell’infallibile. L’avessero più spesso anche i nostri quando scendono a Roma, città di perdizione e di Palazzo.
Boston legal è certa destra. Quelli che fanno i cattivi in nome del bene. Ma poi cattivi non sono. Yuppie efficientissimi, borghesi stressati (uno su tutti James Spader che interpreta l’avvocato Alan Shore), forgiati «malgrado» scuole prestigiose. Sguazzanti e ben vestiti nelle acque infestate da squali in cui hanno scelto di nuotare.
Lost è una comune degli anni Settanta.

Gli anni del «famose» per paura del futuro, gli anni del «disonora il padre», gli anni del «non è mio il passato da cui vengo». Sporchi (per evidenti motivi), arruffati anche nell’anima, riottosi nei confronti delle regole, in lotta per la sopravvivenza. Con l’ignoto, che ha l’unico vantaggio di rendere tutto relativo.

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