Se persino Fidel Cesar Mbanga Bauna, il congolese del Tgr Lazio che va in onda sulla democratica, laica e antifascista Raitre, ha sentito il bisogno di iscriversi a Lettera 22, associazione «per un’informazione libera e non omologata», significa che nelle redazioni la misura è davvero colma. Soprattutto dalle parti di Saxa Rubra. Vabbè che Mbanga Bauna si definisce «l’unico giornalista italiano nero fuori e nero dentro», che sarebbe poi il suo modo per esprimere sempiterna gratitudine all’ex governatore Francesco Storace, a sua volta l’unico politico a sponsorizzare nel 1995 l’assunzione del primo mezzobusto di colore in un telegiornale Rai, alla faccia dei campioni progressisti di terzomondismo che non mossero un dito. Ma non s’era mai vista prima d’ora fra i giornalisti della radiotelevisione di Stato, da sempre allineati e coperti un po’ per carrierismo e un po’ per quieto vivere, una rivolta così articolata, massiccia, rumorosa contro i Santoro, i Travaglio, i Floris, le Gabanelli e le altre star del pensiero unico, e contro la Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana), il sindacato - unico pure questo - che li coccola, e contro l’Usigrai (Unione sindacale giornalisti Rai), la rappresentanza interna - unica pure questa - che li protegge.
Hanno già aderito a Lettera 22 decani della professione come Gino Nebiolo, l’ex partigiano divenuto cronista ai tempi della Liberazione che fu corrispondente della Rai da Pechino, Il Cairo e Parigi, e Italo Cucci, l’allievo di Gianni Brera ed Enzo Biagi che diresse per tre volte il Guerin Sportivo e oggi è opinionista del Tg2; volti noti dei telegiornali, come Susanna Petruni, vicedirettore del Tg1, Luciano Ghelfi, Ida Peritore, Angelo Maria Polimeno, e voci familiari dei giornali radio, come Stefano Mensurati, Gianni Scipione Rossi, Fabio Scaramucci; conduttori di programmi, come Igor Righetti in onda dal 2003 su Radiouno con Il comunicattivo; firme come Gennaro Sangiuliano, passato dalla vicedirezione di Libero a quella del Tg1. Ma anche l’ex presidente della Camera, Irene Pivetti, e il segretario nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino.
Gli iscritti a Lettera 22 sono già 700 e aumentano a passo di carica, per usare una metafora che non dovrebbe dispiacere al suo presidente Paolo Corsini, figlio di un generale di divisione dell’esercito ed egli stesso capitano dei granatieri nella riserva. Vicedirettore di Radiouno, esperto di economia, già conduttore di trasmissioni molto seguite (Questione di soldi, Baobab, Questione di Borsa), Corsini è abituato alle impervietà. E non tanto perché nel 2004 realizzò K2 cinquant’anni dopo, seguendo da inviato speciale la spedizione italiana sulla vetta himalayana nell’anniversario della conquista, ma più che altro per la sua indefettibile abitudine di partecipare da ufficiale alle periodiche esercitazioni militari, dall’operazione Vespri siciliani a Piazza Armerina alle manovre Nato con i bulgari a Plovdiv, l’antica Filippopoli.
Corsini, sposato, due figli, è arrivato al giornalismo per caso. Dopo la laurea in storia medievale, era pronto per la carriera universitaria. Invece si ritrovò a lavorare per otto anni da precario nella redazione economica del giornale radio Rai, dov’è stato assunto nel 2004. A differenza di Michele Santoro e compagni, non è macchiato dal peccato originale: nel 1968 si limitò a nascere, «a Rimini, sangue romagnolo». Però fece in tempo a vedere il 1977 a Bologna, non a caso la città prescelta da Annozero e dalla Fnsi per la sceneggiata di giovedì scorso. «Scontri, molotov, fumogeni, caserme prese d’assalto». Bastò a immunizzarlo per il resto dei suoi giorni.
L’obiettivo di breve periodo del giornalista-granatiere è «farla finita col cancro delle intercettazioni telefoniche spesso non autorizzate, che non contengono nulla di penalmente rilevante, sbattute sui giornali solo per azzoppare gli avversari politici», ed esibisce la sgargiante spilletta appena coniata da Lettera 22, col cellulare sbarrato da una ics rossa e uno slogan di sapore bellico, «Silenzio... ti ascoltano!», sulla falsariga del famoso manifesto «Il nemico vi ascolta. Tacete!» di Gino Boccasile, raffigurante il soldato inglese, elmetto sulle ventitré e mano a conchiglia dietro l’orecchio. L’obiettivo di lungo periodo è «farla finita col sindacato unico».
«Vasto programma», avrebbe commentato De Gaulle.
«Se Lettera 22 arriva a 2.000 soci, possiamo farcela. Sia Raffaele Bonanni che Luigi Angeletti, segretari di Cisl e Uil, si sono mostrati interessati».
Alla Fnsi proprio non vuole iscriversi.
«Guardi che io sono nel consiglio della Fnsi da sei anni».
E che ci sta a fare?
«Come diceva Che Guevara, le istituzioni marce vanno combattute dall’interno. Mi sono soltanto dimesso da vicesegretario vicario dell’Associazione stampa romana in disaccordo con la manifestazione del 3 ottobre per la libertà di stampa».
La libertà di stampa non è in pericolo?
«Siamo seri. Già il fatto che i dimostranti radunati in piazza del Popolo siano finiti su tutti i tiggì e i giornali dimostra che non lo è. In Italia abbiamo Internet senza filtri, 150 reti televisive, 200 radio; possiamo vedere la Cnn, la Bbc, Al Jazeera e un altro migliaio di canali satellitari; in edicola troviamo 170 quotidiani e 190 periodici; negli ultimi anni sono nati, vado a memoria, Libero, Gli Altri, Europa, Terra, Il Fatto. Se questa è una dittatura... Lettera 22 si sta piuttosto mobilitando per difendere l’articolo 15 della Costituzione, che precede l’articolo 21 sulla libertà di stampa».
Me lo ricordi, va’.
«“La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. Ci sarà un motivo se i padri costituenti l’hanno inserito sei articoli prima. Non a caso uscivamo dal Ventennio, con l’Ovra (Opera vigilanza repressione antifascismo, ndr) che apriva le lettere. Oggi la comunicazione per eccellenza è il telefono. Raccoglieremo le firme e le porteremo ai presidenti della Repubblica, del Senato e della Camera, perché questo bene primario ha più bisogno di tutela della stessa informazione».
La Fnsi e l’Usigrai hanno chiesto le dimissioni del direttore del Tg1, Augusto Minzolini, reo d’aver risposto al telefono a Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
«Noi invece attendiamo le dimissioni dei segretari della Fnsi e dell’Usigrai, Franco Siddi e Carlo Verna, che avrebbero dovuto insorgere perché il direttore della principale testata nazionale aveva il telefono sotto controllo pur senza essere indagato».
Rispetto alla Fnsi, l’Usigrai che cos’è?
«Un’emanazione diretta. Non puoi iscriverti all’Usigrai se non aderisci alla Fnsi. È lo zoccolo duro: 1.600 tessere pesano».
E nell’azienda di Stato quanto conta?
«Tanto. Ha un forte potere d’interdizione. Quando si fanno assunzioni, trasferimenti e promozioni, l’Usigrai ottiene la sua quota».
Molti leader della Fnsi, vedi Giuseppe Giulietti, poi parlamentare dei Ds e dell’Italia dei valori, vengono dalla Rai. C’è una serra dove li coltivate?
«Il sindacato è il loro mestiere, mica come noi che lo facciamo sacrificando famiglia e tempo libero. Natale non lavora dal 1996, da quando fu eletto segretario dell’Usigrai; Siddi dal 1998, da quando fu eletto presidente della Fnsi. Giulietti, poi, ha la responsabilità della nascita di Lettera 22».
Non la seguo.
«Novembre 2007, congresso nazionale a Castellaneta. La Fnsi invita a parlare il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, il suo predecessore Maurizio Gasparri e Giulietti. Chiesi a Natale: scusa, ma perché Giulietti? “Perché è il portavoce di un’importante associazione di giornalisti”. Ah sì? Allora ti sistemo io, mi sono detto. E ad aprile 2008 ho fondato Lettera 22».
In memoria della Olivetti di Indro Montanelli?
«Anche. Ma soprattutto per prendere in giro Articolo 21, l’associazione di Giulietti. Nella smorfia napoletana il 22 è ’O pazzo».
Che cosa rimprovera al sindacato unico?
«Non è che ce l’abbia con i sindacati, badi bene. Sono stato rappresentante d’istituto a scuola e dei Cobar durante il servizio militare e persino da capo scout eleggevano sempre me come delegato. In virtù di un accordo stipulato nel 1948, Cgil, Cisl, Uil e Cisnal hanno delegato alla Fnsi la rappresentanza esclusiva degli interessi della nostra categoria. Era nato come sindacato unitario, invece da 15 anni a questa parte è diventato un organismo della sinistra movimentista, uno strumento di lotta politica e metapolitica. Ha tradito i principi del patto federativo, che recita: “Il sindacato dei giornalisti italiani è autonomo rispetto a tutte le forze politiche, sindacali ed economiche”. Ciò è avvenuto sia per l’insipienza dei colleghi moderati sia per la capacità sistematica della sinistra nell’occupare gramscianamente le posizioni».
È anche un bel business?
«Altroché. Ventimila iscritti. La ritenuta per i professionisti è dello 0,50% sullo stipendio mensile. Ci aggiunga i trasferimenti che la Fnsi riceve da Inpgi e Casagit, l’istituto di previdenza dei giornalisti e la cassa autonoma di assistenza integrativa sanitaria, pari a 2,2 milioni di euro l’anno».
Lettera 22 ha criticato la par condicio. Sarà contento che Santoro è riuscito ad aggirarla in mondovisione.
«Santoro è stato reintegrato in Rai con una sentenza della magistratura che ha stabilito quante trasmissioni deve fare e in quale fascia oraria, primo caso al mondo di un giudice che detta il palinsesto. È l’unico dipendente della Rai che può impiparsene del codice etico. Gli altri 1.800 giornalisti devono compilare per la par condicio un rapportino quotidiano, pesando col bilancino del farmacista i secondi dedicati anche incidentalmente a un politico nei notiziari. Il precedente direttore generale Claudio Cappon ha deciso per contratto che Santoro non risponda né al direttore di rete né a quello di testata. In teoria dovrebbe rispondere al nuovo dg, Mauro Masi. In pratica non risponde a nessuno».
Di Masi ha detto a Repubblica: «Un dipendente di Berlusconi che sa solo prendere ordini». L’avesse detto un giornalista del Corriere della Sera del direttore Ferruccio de Bortoli sarebbe stato licenziato in tronco.
«Santoro è un sistema di potere con al centro Marco Travaglio e quindi le Procure che gli passano le cartucelle delle indagini. Ma a che serve chiudere Annozero e lasciare aperto Report? Domenica scorsa Milena Gabanelli è riuscita a confezionare una puntata contro 16 parlamentari doppiolavoristi che fanno anche gli amministratori locali, guarda caso tutti del Pdl. Unico virtuoso: il sindaco di Terni, ovviamente del Pd. Peccato si sia dimenticata di Gianni Alemanno, che ha rinunciato alla carica di deputato per fare il sindaco di Roma».
Quindi come risolviamo questa faccenda della par condicio?
«Va abolita. I Santoro e i Floris bisogna lasciarli in video. Più parlano, meglio è. Magari annoiano. Ma imbavagliarli non serve».
Berlusconi lamenta che processano le persone in diretta tv senza dar loro la possibilità di difendersi.
«Berlusconi dovrebbe mettere alla prova qualche giovane conduttore sulle sue tre reti. Apra nuovi talk show. Io sono per le alternative migliori e interessanti. Metà di questo Paese non si riconosce nella sinistra. Volete sì o no dargli qualcosa di potabile? A parte Bruno Vespa, eccellente professionista, ma troppo impegnato a fare Vespa per diventare l’anti Santoro, chi c’è? Oltretutto, diciamocelo con franchezza, di fatto il conduttore di Porta a porta da anni sta bloccando il ricambio perché blinda il palinsesto di Raiuno».
Fosse lei il direttore di Raiuno, che farebbe?
«Arruolerei Giuliano Ferrara per un talk show, Maurizio Belpietro per le inchieste e Vittorio Sgarbi per un programma mordace. E prenderei esempio da Paolo Ruffini».
L’ex direttore di Raitre? Non mi dica.
«Ebbe il coraggio di prendersi lo sconosciuto Giovanni Floris, che stava con me alla redazione economica del Gr, e di mandarlo negli Stati Uniti a imparare come si fa».
Quando Piero Marrazzo s’è dimesso da governatore del Lazio, Lettera 22 ha sostenuto che la responsabilità è «di chi, da mesi, sovrappone il privato degli uomini di governo alla loro azione pubblica». Un uomo pubblico che invoca il diritto al privato non è una contraddizione di termini?
«No. Di certo i suoi spazi privati si restringono rispetto a un comune cittadino. Ma questi figli del ’68 ragionano come i loro padri: “Il privato è pubblico”. Invece secondo me il privato è privato. Punto».
Non crede che la nostra sia ormai una professione residuale?
«Il giornalismo serio era anche elitario, la sua forza risiedeva tutta nella firma e nella credibilità personale. Il sindacato ha proletarizzato la categoria all’insegna del “lavorare meno, lavorare tutti”. Oggi l’Ordine iscrive i praticanti d’ufficio e sforna 1.
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