
La Franciacorta non è sempre stata il paradiso dorato delle bollicine. C’erano i campi, il fango, qualche vite e i cavalli da tiro. I Barisèi – come vengono chiamati in dialetto i Bariselli – sono lì da allora, ben prima che il metodo classico entrasse nei disciplinari e nei sogni di gloria. La loro storia parte nel 1898, a Nigoline, e ancora oggi, tra le vigne, pascolano vacche fassone. Producono “burro nero”, cioè letame, concime unico della casa. Con buona pace dei cataloghi enologici.
A fondare l’azienda vitivinicola I Barisèi è Gian Mario Bariselli, figlio di agricoltori e oggi affiancato dalla figlia Gloria. Siamo a Erbusco, centro simbolico della denominazione. L’azienda conta oggi 48 ettari vitati, tutti su suoli morenici di origine glaciale, con esposizioni e altitudini che garantiscono una materia prima ricca di personalità. Il 85% è Chardonnay, il resto Pinot Nero. Dal 2014, tutto è condotto secondo i criteri dell’agricoltura biologica. Con qualche anticipazione da manuale: nel 2016, I Barisèi introduce la microirrigazione interrata, molto prima che l’emergenza climatica facesse le sue prime conferenze stampa.
La filosofia è semplice: pochi numeri (120.000 bottiglie) e scelte nette. Solo millesimati, solo lunghi affinamenti. Il Franciacorta Riserva esce dopo almeno 90 mesi. Gian Mario lo dice senza troppi giri: “Mio padre produceva vino sfuso. Io ho voluto puntare tutto su questo vino, con un progetto che guarda al futuro”.
In cantina, il timone passa a Paolo Turra, enologo classe ’93, con alle spalle un’esperienza in Bellavista e una mentalità da ricercatore. Ogni vigneto viene vinificato separatamente, l’assemblaggio si decide dopo, non prima. Il Francesco Battista Rosé – Riserva dei Fondatori – è uno dei vini-simbolo: nasce da Pinot Nero lavorato in criomacerazione al 100 per cento, con l’uso di ghiaccio secco a -78°, per estrarre colore senza avviare la fermentazione. Una tecnica pulita, efficace, poco ortodossa. Come tutto qui, del resto.
Io ho assaggiato due etichette. Il Sempiterre Franciacorta Docg Brut è un 90 per cento Chardonnay e 10 per cento Pinot Nero che arriva da un terreno morenico, che riposa per 24 mesi almeno sui lieviti e arriva sul mercato con profumi agrumati, mentolati, di erbe aromatiche e una bocca fresca, elegante, leggera, che lo rende assai versatile. L’Opposé Franciacorta Docg 2016 è un blanc de noirs da uve al 100 per cento Pinot Nero da uve che arrivano dal cru di Monterotondo e riposano sui lieviti per almeno 70 mesi. Un vero viaggio nel tempo, che produce un vino dal naso balsamico e tropicale e dalla bocca sontuosa, piena, complessa, dall’acidità ancora spiccata e dalla lunga persistenza.
E poi c’è la questione della conservazione. Dimenticate le bottiglie coricate: i Franciacorta di I Barisèi invecchiano meglio in verticale. Lo dice Turra, e lo conferma una ricerca dell’Università di Milano. Il motivo? In posizione eretta l’ossigeno trova due barriere: il tappo e il cuscinetto di CO₂. Risultato: vini più fini, meno ossidati. Un dettaglio? Forse. Ma i dettagli, qui, contano.
Il nome dell’azienda è un omaggio al dialetto, ma anche alla concretezza. “Saper aspettare è una qualità di chi lavora la terra”, dice Gian Mario. E quella terra, in effetti, parla: racconta i ghiacci dell’Adamello, la morena, i sassi, la mineralità che torna nei calici.
I Barisèi la coltivano come sistema: non specializzazione, ma equilibrio. Viticoltura sì, ma anche allevamento, sostenibilità, attenzione vera. E una collezione di trattori, a ricordare che il lusso, prima ancora di essere liquido, è stato a lungo di ferro e fatica.