Cara Brambilla, due o tre cose da fare subito

Lettera del presidente di Ucina, Anton Francesco Albertoni, al ministro del Turismo. Norme e fiscalità omognee nel Mediterraneo. Ma anche rispetto per una filiera di 120mila lavoratori

Cara Brambilla, due o tre cose da fare subito

di Anton Francesco Albertoni*

Gentile ministro Brambilla, la sua amabile intervista al Giornale di Bordo della settimana scorsa, da un lato mi regala una speranza. Ma come in tutte le cose, guardo anche il rovescio della medaglia. Quando lei parla di lotta all’evasione mi trova pienamente d’accordo. È encomia­bile il lavoro del ministro Giulio Tre­monti ( approfitto per ricordargli, pe­rò, che non esistono solo le quote lat­te, ma anche 120mila posti di lavoro: tre volte la Fiat). Lei, quindi, sfonda una porta aperta: da tempo, infatti, abbiamo un fitto dialogo con l’Agen­zia delle Entrate per cercare insieme soluzioni accettabili e più «umane». Ripeto con fermezza: Ucina non di­fende posizioni indifendibili. Le assi­curo che prima di esserne il presiden­te, sono cittadino e contribuente. E mai ho pensato di fare il furbetto. Ammiro molto il suo impegno per aprire spiagge ai cani in ogni comu­ne costiero. Rivendico, però, la navi­gazione tranquilla di chi va per ma­re. Tuttavia, il problema è un altro: abbiamo una normativa inaccettabi­­le, in antitesi con quella in vigore nei Paesi nostri concorrenti dove, per in­ciso, i controlli si fanno nei porti. Mi spiego: i megayacht non scappano perché i loro armatori sono evasori. Più semplicemente se ne vanno per­ch­é l’Italia considera una nave da di­porto come fosse una petroliera. Un esempio: lo sceicco, il magnate rus­so piuttosto che il paperone america­no in navigazione nel Mediterraneo, evitano i nostri porti perché non in­tendono imbarcare, oltre all’equi­paggio, anche uno stuolo di consu­lenti fiscali (e relativi interpreti) con il compito di sbrogliare la complica­ta matassa delle normative italiane. Che si prestano a mille ambiguità. Se l’industria manufatturiera subi­sce la concorrenza sleale - mano d’opera a basso costo e sfruttamento degli esseri umani - di Paesi come la Cina, non è assurdo che quella del turismo subisca la concorrenza, sul piano fiscale, dei Paesi Ue?L’obietti­vo di Ucina è limpido e trasparente: norme e fiscalità omogenee nel Me­diterraneo. Detto questo, sarebbe bello averla ospite a Genova il 4 otto­bre prossimo per il confronto al qua­le ha già dato l’adesione il vicepresi­dente Ue, Antonio Tajani. Gradita anche la presenza di un alto funzio­nario dell’Agenzia delle Entrate. Credo che il problema riguardi di­rettamente il suo ministero visto che l’economia del turismo da diporto va a rotoli, a beneficio dei nostri vici­ni. Le cifre che abbiamo indicato so­no reali, fornite dall’Osservatorio Na­zionale della Nautica. C’è una intera e lunghissima filiera che ne soffre: lo­cali, alberghi, ristoranti, negozi, can­tieri per la riparazione e la manuten­zione ( costosissima) dei megayacht. Per non parlare degli equipaggi che fanno la muffa sulle banchine spe­rando in un ingaggio che non arriva. Sono un imprenditore che parla a un’imprenditrice (pur con alte fun­zioni istituzionali). E fra imprendito­ri si parla la stessa lingua. Vogliamo davvero fare qualcosa per questo ­nonostante i disfattisti - straordina­rio Paese? È semplice: il 4 ottobre se­diamoci attorno a un tavolo e parlia­mo di cose serie, ragioniamo, ascol­tiamo gli imprenditori (che hanno esperienza e onestà da vendere) e, in­sieme, diamo finalmente un calcio alla burocrazia che ostacola la cresci­ta di settori primari della nostra eco­nomia. La burocrazia è la peggiore “legge” tuttora in vigore nel nostro amato Paese.

I latini, che capivano qualcosa di diritto, dicevano: Sum­mus Ius, summa iniuria (massima applicazione- o esasperazione- del­la legge, massima ingiustizia). Un cordiale saluto, con stima sin­cera. E viva preoccupazione.
* Presidente di Ucina  

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