Delete. Non basta un clic per cancellare tutto. Questa sembra ormai la condanna di questo secolo. Non c’è più il diritto all’oblio. La colpa è di quella grande rete che chiamiamo Internet, che tutto archivia, tutto ricorda e non ti lascia libero di sparire, di farti dimenticare, di resettare quello che sei stato. La questione è pratica, voglio bruciare i miei post su Facebook o le mie ricerche su Google, ma si porta dietro anche qualcosa di più intimo, quasi filosofico. La libertà di ricominciare da zero, rifugiarsi, scappare, scegliere la montagna dell’eremita o la solitudine del monaco in fuga dal mondo. La tentazione maledettamente umana di cancellare le tracce, di ridefinire il destino, di rigiocare la partita senza i bonus o i malus del passato, riscrivere su carta vergine la propria identità. Questo è ora molto più difficile.
Ci sono quelle orme virtuali indelebili. Sono le scie che hai lasciato cercando su Wikipedia la data di nascita di Scilipoti, cose stupide o compromettenti, ci sono le foto, le parole, tutte le puttanate che hai scritto, c’è il numero della carta di credito, l’ebook che hai scaricato poco prima di Natale, gli acquisti di ebay, i filmati di youtube, le firme sotto qualche manifesto, lo scambio di messaggi di amori finiti. Tutto questo non ha scadenza. Resta lì, scolpito sul silicio. Avete mai provato a cancellarvi da Facebook? Potete sbarazzarvi del vostro profilo, ma da qualche parte nella blogosfera resta ciò che avete lasciato. Neppure la morte vi salva. Sono tanti i casi di persone che non sono più in questo mondo ma restano con il profilo attivo, fino a quando una mano pia gli chiuda gli occhi, magari informando i signori del social network che quella foto con il sorriso è ormai puro spirito. La fregatura, o la meraviglia, è che l’avatar è immortale.
La domanda è questa: come si tutela il «diritto di Salinger»? Il padre del giovane Holden ha passato una vita a cancellare le sue tracce. Ha cercato di farsi dimenticare. Era un’ombra, un ricordo, un eremita, uno che bestemmiava ogni volta che un paparazzo o un critico letterario frugava nel suo passato. Il diritto di Salinger è una delle scommesse giuridiche e filosofiche di questa stagione. È la libertà di urlare: dimenticatemi. L’Unione europea dovrebbe presto rinnovare il diritto all’oblio. L’idea è che tutto quello che voi fate sarà a tempo. Poi scade. È il tentativo di frenare un paradosso. In Delete appunto, Viktor Mayer-Schönberger, racconta questa metamorfosi della memoria. In una società dove le tracce di ciò che facciamo non svaniscono mai, dimenticare è l’eccezione e ricordare una norma. Quello che era difficile diventa facile, e viceversa. «Nel 2007 – scrive – Google ha ammesso di aver salvato ogni singola ricerca effettuata dai suoi utenti e ogni singolo risultato cliccato. Conservando e organizzando più o meno 30 miliardi di ricerche al mese e abbinando login, cookies e indirizzi Ip, Google è in grado di collegare le ricerche fatte nel tempo da ogni utente con una precisione impressionante. Una sorprendente memoria digitale che si espande di anno in anno con ritmi del 30 per cento».
Certo. I moralisti potranno dire che se uno ha messo la sua foto su un social network, ha portato i suoi panni in piazza, ora non deve rompere troppo le scatole. Se è un malfattore è giusto che gli altri conoscano i suoi peccati. Se è un cristo qualsiasi si accontenti di farsi da parte, senza recriminare sul passato. I moralisti non credono che l’oblio sia un diritto. Ripulire il passato è una scorciatoia etica. La questione, però, è complicata. Il desiderio di sparire non si programma. È Salinger che scrive un romanzo troppo grande in cui si riconosce e si mimetizza nel silenzio. È Goethe che entra ed esce di scena, mascherandosi e rivelandosi, ogni volta che lo prende l’ansia di rinnegare il dolori di Werther. È lui che viaggia in Italia sotto falso nome e mentite spoglie. Ma è ancora lui quando riprende le forme di patriarca della letteratura tedesca. È un continuo entrare e uscire da Facebook. Qualcuno vuole negargli questo diritto? È il Fu Mattia Pascal, che cancella e rincorre se stesso. È il mistero senza soluzione di Ettore Majorana, che ha ripudiato numeri, sensi di colpa e identità. È la fuga dall’economia di Federico Caffè. È l’ansia che un giorno portò Lucio Battisti a nascondersi nei versi di Panella.
È la paura fisica dell’immensa Mina, che lascia ai posteri poche immagini e una voce senza fine. È l’eterna ultima occasione offerta ad Antonio Cassano. È la remissione dei peccati che il conte del Sagrato cerca disperatamente sotto la maschera dell’Innominato.
È quella parte di noi che non si riconosce sempre e solo con il proprio passato. È la discontinuità come scelta di vita. È l’inutile richiesta di essere giudicati per ciò che siamo adesso. È la fuga dalla prigione infernale dell’eterna memoria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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