"Cara Lietta, tu forse hai il gene dell'Amore"

Rivolto alla figlia, lo scrittore mette in luce le proprie debolezze. E un profondo affetto

Per concessione dell'editore, pubblichiamo parte di una lettera inviata da Giorgio Manganelli alla figlia Lietta l'8 luglio 1974. La Lettera, già apparsa in Circolazione a pià cuori. Lettere familiari (Nino Aragno Editore, 2008), chiude Notte tenebricosa di Giorgio Manganelli (Graphe.it edizioni, nelle librerie da domani).

Gli ultimi anni sono stati anni di dolore cronico, un dolore lebbroso, canceroso, distrofico, un frenetico correre su e giù per un labirinto e darvi cozzo a tutte le pietre e gli angoli e sbagliar sempre strada perché non c'erano ormai strade giuste. Essere insieme nel torto e nel giusto: essere nel torto, perché non puoi negare che quel che fai ti è incomprensibile a te stesso nella sua germinativa efferatezza di dolore. Ed essere nel giusto perché malamente avverti che in quel dirupo di serpi, di ortiche, in quelle caverne, in quei lebbrosari, in quel cronicario di sé stessi in cui ci si arrocca, come se si fosse una fortezza, e può anche darsi che sia una vera fortezza, lì in quella catacomba degradata in cloaca c'è quel tanto di dura e vetrosa verità che ti appartiene. E dunque, non si può avanzare che retrocedendo, scrutare nella compattezza delle tenebre, patire le tenebre e sapere di non poter fare nessun'altra scelta. Ecco, quello che tu mi hai dato nella tua lettera è una proposta d'amore senza giudizio come tu hai scritto: «Qualcuno che forse ti vuol bene, più di quello che te ne vuoi tu». Cara Lietta, tu forse hai il gene dell'Amore e allora potrò sperare che tu veramente potrai essermi vicina senza giudicarmi, come nemmeno io so fare, sebbene con furore ubbidisca in quello che io chiamo il mio destino, quella a me misteriosa parte che mi è stata affidata, per quanto minima, in un tappeto che io riconosco dalla minuta e interrotta trafittura dell'ago, che mi conosce e mi disegna. Talora ci si domanda se si può dialogare con l'ago senza neppure mai osare chiedere di scorgere l'ombra, o la luce, intollerabili entrambi, della mano che lo governa; quell'ago sapiente, indifferente, amoroso che forse può accecarti le pupille, forse trafiggendole, può spalancarle. In questo dialogo con l'ago non c'è pausa, non c'è dolcezza e c'è insieme tanta dolcezza, di quella fatale e consumante dolcezza che si sperimenta solo nel cuore della sofferenza più intollerabile, ché ad essa non è concesso rinunciare. Ci sono stati dei giorni così lenti, così amari, così imprecisi, che era difficile resistere alla disperazione sacra - la disperazione di chi sa di essere vivo, ma che non sa in che modo possa adoperare quella condizione, come se il suo corpo fosse divenuto più grande, più goffo, più pesante, più inetto di lui stesso. Con chi si parla quando l'erba da capre ti scivola di mano? È forse solo un disegno semplicemente difficile ed intricato che l'ago sta tentando? È il fatto che su di te appunto lo stia mettendo in opera? È una miracolosa terribile coincidenza di dannazione o di grazia? Quell'ago che conosce tutt'intero il tappeto ha i termini per giudicarmi che io non ho? Potrà forse essere che alla fine la grazia potrà essere accordata a chi ha pronunciato, non certo su di sé, almeno un'ipotesi di condanna? Perché la condanna totale sarebbe un atto di intollerabile superbia e forse guasterebbe in qualche misura enigmatica l'interezza del tappeto. Mia dolcezza, dalla tua lettera mi è giunta una carezza quale non avrei sperato da nessun altro. Scusa cara Lietta, lo vedi che sporco il foglio come un ragazzino alle prime aste. Il fatto che mi sono accorto ora che il nastro è quasi del tutto logoro, anzi a pezzi e la stessa macchina incredibilmente sporca, anche questo un sintomo in questi mesi, di una fatica così oculata da farsi del tutto cieca.

Non ti ringrazio della tua lettera, perché essa non sta nel modesto ambito delle cose, dei gesti, delle parole, per le quali c'è ringraziamento possibile. Abbraccio te e tutti coloro che ami e dunque abbraccio anche me, secondo la tua volontà».

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