Cultura e Spettacoli

Caravaggio superstar Dopo 400 anni il catalogo è questo

Si cercano le sue ceneri tra migliaia di ossa nel cimitero di Porto Ercole. Si organizzano convegni, si scrivono libri e saggi, si organizzano mostre. Insomma, Michelangelo Merisi da Caravaggio, pittore «maledetto», a quattrocento anni dalla morte è diventato una superstar. Una vita di fughe, risse e sangue, una morte a trentanove anni, solo e abbandonato, una pittura eccezionale.
Il 19 febbraio si apre a Roma, alle Scuderie del Quirinale, la grande mostra «Caravaggio» (sino al 13 giugno), che mira a rappresentare il pittore con le sole opere sicure, escludendo quelle «di bottega». Ci saranno, tra l’altro, il Bacco degli Uffizi, il Davide con la testa di Golia della Galleria Borghese, la Cena in Emmaus della National Gallery di Londra, I musici del Metropolitan di New York.
Firenze punta invece su «Caravaggio e caravaggeschi a Firenze», in una rassegna allestita a Palazzo Pitti e agli Uffizi, a cura della Soprintendenza, che presenterà dal 22 maggio a ottobre un centinaio di opere di seguaci toscani di Caravaggio, appartenute ai Medici, insieme a quelle del pittore conservate nelle gallerie fiorentine.
Ci saranno poi dal 23 ottobre «Caravaggio e il ’600» a Castel Sismondo di Rimini e, alla Gam di Bergamo, «Gli occhi di Caravaggio», che indaga sulla cultura giovanile del pittore, presentando gli artisti veneto-lombardi che lo formarono in Lombardia. Capolavori di Caravaggio compariranno anche in una mostra di fiori «Natura e Simbolo dal ’600 a Van Gogh» dal 24 gennaio ai Musei di San Domenico di Forlì.
Escono inoltre libri che tendono, come le mostre, a ripulire Caravaggio da tutte le attribuzioni incerte o spurie. A rappresentarlo nella sua veste di artista puro è Francesca Cappelletti nel suo Caravaggio. Un ritratto somigliante (Electa, pagg. 256, ill. 160, euro 90). In veste lussuosa, il volume ripercorre tutto l’iter del pittore, dagli inizi a Milano ai primi anni romani, dall’attività per i grandi committenti all’omicidio, dalla fuga a Napoli alle traversie tra Malta e Sicilia sino alla morte. Riconsidera dati documentari e opere, sottraendo al pittore un lungo elenco di dipinti - non tra i più noti, però -, tra cui una versione del Suonatore di liuto di collezione privata inglese, presentata alla mostra sulla «Natura morta italiana» di Firenze e Monaco del 2003, le varie versioni del Ragazzo che monda una pera, citato dalle fonti, di cui sembra perduto l’originale, il Ragazzo con la caraffa di rose, una versione dei Bari, una Maddalena in estasi di collezione privata, la Vocazione di Pietro e Andrea di Hampton Court, ed altri ancora. Un dubbio è espresso anche sul Narciso di Palazzo Barberini. Molte delle opere attribuite a Caravaggio sarebbero copie di contemporanei, attirati dal successo degli originali e dalle richieste del mercato.
Riaffiora così il volto di un Caravaggio ricco di capolavori autentici e affascinanti. Un artista che, liberato dal mito, rimane un mito. Perché? Per il contrasto inafferrabile tra i suoi dipinti, che hanno rivoluzionato l’arte, e la sua esistenza difficilissima che, ripercorsa nei documenti che ancora oggi emergono, è già un romanzo. Un contrasto che emerge anche dai giudizi dei contemporanei, che oscillano tra l’«egregio pittore in città» («egregius in urbe pictor»), come lo si definisce nel contratto del 24 settembre 1600 per la pittura dei due laterali destinati alla cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma, e il «membro fetido e putrido», con cui lo bollano i Cavalieri di Malta nel 1608 espellendolo dall’Ordine.
Una vita breve, neanche quarant’anni, dalla nascita a Milano il 29 settembre 1571 alla morte il 18 luglio 1610, vissuta nell’ambiente marginale di Roma, tra locande, prostitute e palazzi aristocratici. Segnata inesorabilmente dall’assassinio dell’ormai famoso Tomassoni e dalla fuga febbrile tra feudi amici, Malta e Meridione. Un volto ferito, sanguinante, che compare in molti dipinti. Un’unica firma dipinta col sangue uscito dal collo di san Giovanni Battista nella grande Decollazione del santo, una delle ultime opere.
Eppure quest’uomo, «un giovenaccio grande con poco di barba negra grassotto con ciglie grosse et occhio negro non troppo bene in ordine, che portava un paio di calzette negre un poco stracciate, che porta li capelli grandi longhi dinanzi», come lo descrivono i contemporanei, ha operato la più grande svolta verso l’arte moderna. Ha tagliato corto con la «maniera», riprendendo la realtà nuda e cruda, le persone vere. I suoi santi sono i vecchi laceri presi dalle strade, le Madonne sono prostitute incontrate nei bordelli, i Cristi sono i cadaveri in putrefazione studiati negli ospedali, i Bacco sono gli amici «feminielli». Caravaggio ha inventato la natura morta e, senza avere un atelier, ha creato la più grande scuola del Seicento, con seguaci italiani ed europei. Certo, non gli sono mancate le grane...


info@mauriziatazartes.it

Commenti