Cari chef, vi cucino al sangue

Torna Anthony Bourdain, autore del bestseller mondiale "Kitchen Confidential". Il cuoco svela i segreti dei grandi ristoranti. E spiega come evitare l’avvelenamento

Cari chef, vi cucino al sangue

Questo non è l’ennesimo libro scritto in cucina. Non è una raccolta di ricette. Non è una guida ai migliori ristoranti. Perché, diciamocelo, oggi la cucina è letteratura da alta classifica, da centinaia di migliaia di copie. E discernere tra un successo e un altro comincia a diventare difficile. Vessati e inibiti da stelle, forchette, bicchieri e incomprensibili tecnicismi da gourmet, cominciamo a trovare difficile distinguere un buon piatto di spaghetti al pomodoro da un ammasso di pasta scotta agrodolce spacciata per raffinatezza sperimentale. Fatto sta che Anthony Bourdain, americano di New York, sebbene il cognome abbia assonanze francesi, ha cominciato a scrivere di cucine - più che di cucina - in tempi non sospetti e in breve è diventato un anti-guru del genere. Lui gli chef li fustiga, i ristoranti li setaccia, i miti della gastronomia li distrugge, ingrediente per ingrediente. Bourdain è quello di Kitchen Confidential (Feltrinelli), il memoir che nel 2000 ha conquistato prima l’America e poi il mondo, grazie al tono spietato dell’autore, che per trasformare in libro un suo esplosivo articolo per il New Yorker dall’eloquente titolo «Non mangiate prima di leggere qui» si era fatto un lungo viaggio nelle sacrestie dei ristoranti più celebrati.
Ora Bourdain è tornato, con un seguito a Kitchen Confidential che gli è valso da Time l’appellativo di «Ultimo uomo onesto»: «La cucina è l’ultimo baluardo della meritocrazia», sostiene Bourdain. «Un’omelette o la sai fare o non la sai fare».
Al sangue (Feltrinelli, pagg. 256, euro 16, in uscita il 26 gennaio) è l’ulteriore attacco a quel mondo di «semidei» che sono diventati i cuochi di fama internazionale da parte di uno che per lungo tempo ha fatto parte della categoria, ma che non ha intenzione, nonostante sia diventato uno dei più popolari volti televisivi americani grazie alla serie No Reservations e alla sitcom Kitchen Confidential, di spendersi in marchette per gli sparring partner di una vita.
«Mi sono diplomato nella migliore scuola di cucina del Paese. Ho svolto per ventotto anni la professione di cuoco e chef. Ho pulito e porzionato migliaia e migliaia di pesci. L’executive chef-partner di Le Bernardin, Eric Ripert, è probabilmente il mio migliore amico. Ma non oserei mai infilare un coltello in un pezzo di pesce al Le Bernardin», afferma ad esempio in uno dei capitoli più gustosi di Al sangue, dedicato appunto al pesce e a come si dovrebbe scegliere, conservare, tagliare, servire e mangiare nei locali «comme il faut». «Al livello di successo e visibilità nel firmamento della cucina raffinata cui è assurto il Le Bernardin, non è esagerato dire che se un solo ordine di rana pescatrice giunta al tavolo dovesse avere un profumo anche solo vagamente inappropriato, la notizia finirebbe su Internet con l’effetto di una bomba a neutroni. Ripert mantiene una rete non ufficiale di intelligence che farebbe invidia alla Cia, al solo scopo di difendere il Reame». Considerato che il Le Bernardin è, anche per gli europei, «il miglior ristorante di pesce in America», cominciate a farvi un’idea della perizia con cui Bourdain valuta le grottesche sovrastrutture che sorreggono quello che lui chiama il «Sistema» gastronomico internazionale, in cui «ogni piccolo dettaglio è in grado di far crollare il tempio».
È dai fustigatori, però, che si apprendono i segreti per la sopravvivenza e infatti sfogliando Al sangue si collezionano segretucci per il nostro prossimo ingresso nei locali glamour e anche in quelli di seconda fascia. Il pesce? «Quello che trovate al supermercato o in pescheria qui verrebbe fiutato e gettato via immediatamente». Se puzza di pesce torna da dove è arrivato. Quanto conta l’estetica in un piatto? Quanto è collegata alla qualità: «Il famoso mantra francese “Usa tutto”, che consente a molti chef di vivere, non è l’espressione operativa di un ristorante a tre stelle Michelin. In questo caso è: “Usa solo il meglio”». Come dire, il cibo costa, ma i pezzi inaccettabili devono finire nel cestino. Per cui se nel vostro piatto alcuni tranci hanno «difetti» estetici cominciate a sospettare. La cucina multietnica in un ristorante «francese» o «italiano»? Non vi scandalizzate: spesso molti degli chef e sous-chef di nazionalità diverse sono migliori dei titolari, sanno scegliere pesci e carni, tagliarli a regola d’arte, dosare spezie e preparare salse internazionali.

L’ennesimo mito da distruggere? Alice Waters, la cuoca di Michelle Obama, boriosa e convinta che si possa ricreare un paradiso terrestre «all’italiana» nei giardini della Casa Bianca, in un tempo in cui nemmeno in Italia si calpesta più l’uva a piedi nudi.
Un ultimo consiglio? Accertatevi inesorabilmente, magari con discreta richiesta quando vi portano il menu, se chef e personale di sala abbia mai mangiato nel ristorante in cui lavora.

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