La colpa è sempre di qualcun altro. Questa è la regola doro della burocrazia statale. LItalia è peggio del Ruanda, ci ha ricordato ieri il leader sindacale dei magistrati, Luca Palamara. La classifica sullattrattività degli investimenti citata è tanto idiota (la classifica, sia chiaro, e non chi la riporta. Per carità di patria e di querela) quanto diffusa. Ma il punto in questo caso non è quello di contestare il fatto che unimpresa preferisca investire in Ruanda o in Mongolia piuttosto che in Italia. Il punto è che Palamara dovrebbe farsi un bellesame di coscienza. Diciamo subito che il magistrato ha fatto qualche ammissione di «colpevolezza» e una timida autocritica nelle sue parole si scorge. Ma caro Palamara, non crede che più di qualche responsabilità nel collasso della giustizia sia da trovare in coloro che la dovrebbero servire, cioè nei magistrati? Guardi che, parlando dei fattarelli nostri, è come pensare che la crisi delleditoria non sia colpa dei giornalisti, ma solo del destino cinico e baro o dei lettori. I sindacalisti tendono sempre ad attribuire le responsabilità fuori dal perimetro delle proprie corporazioni: in fondo esistono anche per questo. Ma dai magistrati, i più alti funzionari dello Stato, si potrebbe pretendere una maggiore consapevolezza. Lei parla di organizzazione degli uffici giudiziari. Ebbene se in Italia, usando i suoi termini, ci sono delle best practice nellorganizzazione degli uffici, ciò forse non dimostra che laddove ci sono dei magistrati volenterosi e competenti si possa compiere un buon lavoro? È vero le imprese multinazionali scappano dallItalia. Ma non crede che una delle cause principali risieda proprio nel vostro lavoro? Sì, certo, il legislatore ci ha messo del suo.
Solo pochi mesi fa il governo aveva provato a sottrarre (anche se parzialmente e con mille caveat) ai tribunali le controversie sul lavoro e financo il licenziamento. È successo un pandemonio: persino il presidente della Repubblica ha fatto rimangiare al povero Sacconi limprontitudine. Gentile Palamara non le faccio la lunga lista di errori giudiziari e di ridicola discrezionalità con la quale talvolta si spreca lobbligatorietà dellazione penale. Le cito solo qualche caso «ruandese». Perché una gran parte delle cause di lavoro (quelle che riguardano gli artigiani che lei cita) vengono ribaltate tra il primo e il secondo grado.
Suvvia. Se lItalia è peggio del Ruanda si assuma quella bella fetta di responsabilità che le tocca.