La carica delle associazioni a caccia del «5 per mille»

Saranno distribuiti 270 milioni di euro tra 40mila possibili beneficiari

Laura Verlicchi

da Milano

«Per esser solidale paga le tasse in modo speciale: ricorri al nuovo cinque per mille col tuo denaro faremo scintille!». Lo slogan simpaticamente naïf, esiste davvero. Campeggia sul sito della Uildm di Bergamo, una delle possibili beneficiarie della devoluzione «a fin di bene» prevista per quest’anno all’interno della dichiarazione dei redditi. Se la frase fa sorridere, lo scopo è serissimo: per la prima volta, ognuno di noi può decidere di destinare una quota delle sue tasse a sostegno del volontariato, oppure della ricerca sanitaria o scientifica o, infine, delle attività sociali svolte dal suo Comune. E tutto questo senza spendere un euro in più.
Il cinque per mille, infatti, non costa nulla al contribuente: è lo Stato che rinuncia a una quota delle imposte a favore delle attività di organizzazioni non profit. Una scelta fortemente voluta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti e inserita nella Finanziaria 2006, per quest’anno a titolo sperimentale. Il meccanismo è simile a quello, ormai familiare, dell’otto per mille destinato alle confessioni religiose: anche qui, infatti, si deve firmare nel riquadro prescelto, fra i quattro (associazioni di volontariato e Onlus, enti di ricerca scientifica, enti di ricerca sanitaria e Comuni) che figurano sui modelli di dichiarazione dei redditi, o, per chi non è tenuto a presentarla, nell’allegato al Cud.
C’è però una differenza sostanziale: nel caso del cinque per mille si deve anche indicare il codice fiscale dell’ente a cui si vuole destinare la donazione. Questo perché lo spirito della legge è quello della centralità del contribuente: quindi non si intende favorire un generico sostegno «al volontariato» o «alla ricerca», ma garantire che il versamento di ognuno vada esattamente alla destinazione indicata.
Il gioco vale la candela, intesa come il piccolo sforzo di rintracciare il codice: spesso, fra l’altro, non è neppure necessario, perché sono le stesse associazioni a indicarlo sul proprio sito o sui depliant informativi, che in questo periodo affollano le nostre caselle postali, cartacee e non. Altrimenti, si può consultare l’elenco pubblicato dall’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.it) sotto il titolo «5 per mille, istruzioni per la scelta». Non serve il codice, invece, se si decide di devolvere il 5 per mille al proprio Comune di residenza, che dovrà obbligatoriamente utilizzarlo per finalità sociali: in questo caso, basta la firma. Automaticamente, la cifra sarà destinata al Comune indicato dal contribuente come domicilio fiscale.
Nulla comunque andrà perduto: perché anche nel caso in cui non si voglia indicare un codice, o ne venga indicato uno errato, il 5 per mille della propria Irpef verrà devoluta a un ente della stessa categoria (volontariato, ricerca sanitaria o scientifica), in misura proporzionale ai voti ottenuti. Una sorta di «premio di maggioranza», insomma, per le associazioni che avranno raccolto più preferenze.
È proprio questo il punto che ha sollevato più di una perplessità. L’elenco dei possibili beneficiari, infatti, è sterminato: sono quasi 40mila, tra i quali dividere una «torta» da 270 milioni, secondo le stime esposte dal ministero delle Finanze nella relazione tecnica alla legge.

La stragrande maggioranza - oltre 29mila associazioni - appartiene alla categoria Onlus, che si è costituita non per segnalazione ministeriale (come per la ricerca sanitaria o scientifica) ma per autocertificazione da parte delle associazioni stesse. Ci sono quindi realtà molto diverse fra loro, per scopi, dimensioni e capacità comunicativa: una forte disparità di donazioni sarà pressoché inevitabile, secondo gli osservatori.

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