"Carmen" firmata Zeffirelli, l'opera come non si fa più

Fedeltà totale all'autore e resa estetica al massimo All'Arena di Verona voci convincenti e applausi continui

"Carmen" firmata Zeffirelli, l'opera come non si fa più
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da Verona

Indiscutibile: chiunque viva l'opera come grande spettacolo, festa collettiva ed esuberante rito pop, non deve perdersi la riproposta della storica Carmen firmata Franco Zeffirelli che l'Arena di Verona, con maestosità di mezzi e fragore di consensi, ripropone fino al 3 settembre. A trent'anni esatti dalla sua nascita, e a 150 dalla morte di Bizet, questa versione-capolavoro di uno dei capolavori più areniani, è la "summa" d'un modo di fare opera di cui oggi non c'è (quasi) più traccia: fedeltà assoluta all'autore, e resa estetica ai massimi livelli. E non si parla qui solo della magia scenografica con cui Zeffirelli edifica stupefacenti piazze sivigliane o impervi baratri montuosi; né solo dei mezzi-kolossal con cui li popola di 400 dicesi 400 - tra coristi, ballerini e figuranti. Parliamo anche dell'assoluta maestria con cui queste masse vengono guidate, nell'isterico litigio delle sigaraie come nella frenesia delle danze montanti dagli ubriachi nella taverna di Lilas Pastia. Parliamo dell'amorosa cura con cui la regia (qui puntigliosamente ricostruita dagli assistenti del Maestro) perfeziona in mille quadri d'incantevole efficacia la recitazione di ciascuna di queste persone.

E parliamo della convincente recitazione dei cantanti stessi (la corposa Anita Rachvelishvili come Carmen, Yusif Eyvazovn convincente Josè, il solido Escamillo di Alexander Vinogradov) mai annullati e anzi valorizzati dall'immensità dell'impianto scenografico. Certo: i puristi dell'opera storceranno il naso davanti a certe scelte anti-filologiche del direttore Francesco Ivan Ciampa; come l'uso dei recitativi musicati da Guiraud al posto di quelli parlati previsti da Bizet, o il "trasloco" del preludio dall'inizio del quarto atto all'interno dell'atto stesso, solo per far esibire gli squisiti danzatori flamenchi di Antonio Gadès. Sottigliezze, per i 15mila dell'Arena.

Che, travolti e

ipnotizzati dall'immensa macchina di colori e di vita, si beano di applaudire ogni cosa (perfino la figurante che suona il gong, alla fine di ogni intervallo) e di battere le mani a tempo, felici, sul finale Toreador di Escamillo.

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