Caro Ferrara, hai già fatto un miracolo

Caro Giuliano, fratello mio. Non fa niente. Va bene anche così. Hai combattuto la buona battaglia, hai terminato la tua corsa, hai conservato la fede anche di chi, come me, ne ha davvero poca. Tu, un non credente. Sei riuscito a ottenere più di quanto potessero sperare i 135.578 che ti hanno votato: rimettere al centro della scena i diritti di chi non ha voce. Sarai ricordato, per questo.
Mi sei sembrato la reincarnazione del Peppone di Gino Cervi, in quella posa studiatamente facinorosa del comiziante che restituisce i pomodori dal palco di Bologna: il gesto eroico da fromboliere, il labbro arricciato. Ma si vedeva benissimo che le tue dita grosse sono state create per accarezzare e per scrivere, non per menare. I tuoi avversari, quelli sì menano. Tutto in te testimonia invece mitezza.
Ci hai messo la faccia, non hai voluto sentir ragioni. Hai rischiato per generosità. Perché tu sei un uomo buono, qualcosa di assai diverso da un buon uomo. L’ho capito abbracciandoti la mattina in piazza dei Signori - talvolta i toponimi dicono molto - e riabbracciandoti la sera in un garage d’albergo, trasformato in catacomba di questi nostri tempi storti, mentre fuori un manipolo di abortisti insipienti urlava slogan d’indicibile volgarità. Hai infilato la borsa d’ufficio con dentro il pigiama nel baule dell’Alfetta blindata. «Sparano?». Non hai rinunciato alla tua lieve ironia per sciogliere la tensione degli uomini della scorta. Poi ti sei tolto dal capo il berretto e mi hai avviluppato con la tua mole, il barbone sorprendentemente soffice che mi sfiorava le guance.
Sei troppo intelligente per star lì a chiederti che cosa non abbia funzionato. Che avresti perso la tua sfida elettorale mi è apparso chiaro in via definitiva venerdì scorso, alle 21.55, quando ho ricevuto da un importante personaggio della finanza questo Sms: «Negli ultimi 30 anni abbiamo votato il minore dei mali, ora con Ferrara possiamo votare il maggiore dei beni. Io lo farò, fregandomene della logica politica. Eppure molti dei nostri non ci credono, caro Stefano!». E se lo diceva lui, che li conosce tutti, dal Papa in giù.
Te lo pronosticai un mese fa, all’ombra delle Arche che custodiscono le spoglie mortali dei condottieri medievali della mia città, scandalizzando i tuoi fan, docenti universitari, professionisti, anche un pio imprenditore molto perbene che fattura qualche migliaio di miliardi di vecchie lire: la Chiesa non muoverà un dito per aiutarti, preferisce trattare col governo che verrà, qualunque esso sia. La realpolitik viene prima dei principii non negoziabili, che credevi? Te lo dissi, per la verità, con le stesse ruvide parole scritte da Francesco Cossiga nella lettera che hai pubblicato sabato scorso sul Foglio: «Per molti vescovi tra i “valori primari” primeggiano l’8 per mille, l’esenzione dall’Ici e la non tassazione di ostelli e altro». Sarà mica un caso se un eminentissimo cardinale, due ore prima di partecipare a un incontro pubblico sull’impegno dei cattolici in politica, pregò il moderatore, che ero io, di espungere dal dibattito tutte le domande riguardanti l’impegno dei cattolici in politica...
Ma adesso ascolta, fratello Giuliano, quali miracoli sta propiziando la tua battaglia in difesa della vita maltrattata. È partito apposta da Milano per venire a trovarmi uno dei protagonisti del libro che reca la tua prefazione e che proprio di questo parla, di vita, di morte e di miracoli: Alfredo Villa. Un tempo faceva i soldi solo per sé, e senza andare per il sottile: diventò miliardario quotando a Wall Street una società svedese di intrattenimenti porno. Poi s’è messo in testa di farli per gli altri con un fondo d’investimento - H4H, Homes for hope, case per la speranza - che destina parte delle commissioni in beneficenza e che in un paio d’anni ha già guadagnato il 42%. La sua mission è costruire abitazioni per derelitti in giro per il mondo.
Villa s’è presentato con due cabarè di paste: «Ne avevo comprato uno solo, però mi pareva troppo piccolo, così te ne ho portato un secondo». Giusto per farti capire che tipo è. Mi ha detto: «Ho comprato e ristrutturato una casa in collina a Masserano, vicino a Biella. Posizione stupenda, al margine di un bosco. Davanti scorre un fiumicello in cui nuotano ancora i pesci. È finita in ogni dettaglio, in regola con quanto richiesto dall’Asl, già approvata come struttura d’accoglienza. Sono oltre 400 metri quadrati su tre piani. C’è un ristorante, 60 coperti, con i soffitti a volta e una grande terrazza. La modernissima cucina industriale è perfettamente a norma. Otto camere tra singole, doppie e triple, in totale 19 posti letto. Vorrei ospitarci le ragazze madri che non vogliono abortire. Mi piacerebbe chiamarla la Casa del Foglio».
L’ho guardato come si guardano i matti che provano a farsi santi. «Dillo a Giuliano Ferrara. Possono entrare da domattina. Tutto è tristemente funzionale ed ordinato in quella casa. E, come diceva il Don, dove c’è ordine non c’è amore». Il Don era don Luigi Longhi, parroco dei diseredati all’Aravecchia di Vercelli, morto l’anno scorso. Ideò la Campana della Vita: due rintocchi ogni giorno per ricordare i ragazzi che muoiono, di malattia o d’incidente, prim’ancora d’aver cominciato a vivere. E chi più dei non nati? Villa lo incontrò per caso e ne fu conquistato.
«Il ristorante ha la licenza e può essere aperto al pubblico già da stasera», ha continuato l’operatore di Borsa. «Se lo desiderano, lo lascio gestire alle ragazze madri con la collaborazione delle quattro sorelle del Don, che hanno un bar tavola calda a un chilometro dalla casa. Fanno da mangiare benissimo, sono piene d’entusiasmo: diventerebbero le mamme delle mamme e le nonne dei bambini. Le donne abbandonate staranno in questa casa tutto il tempo che vogliono, senza dover dare i figli in affido o in adozione dopo averli messi al mondo. Il modello che ho in mente è quello della cascina lombarda d’inizio secolo. Un chilometro di passeggiata in mezzo ai campi e si arriva alle scuderie dei cavalli da corsa che allevo con Cristina. I bambini potranno veder nascere i puledri, mungere le mucche, giocare con i cani, con le galline e con Pasqualino, un agnellino sciancato salvato dalla macellazione rituale. E anche fare i tuffi nella piscina, che oggi è solo molto bella, molto ordinata, molto vuota... E se non dovesse bastare, nel centro storico di Masserano ho un palazzo settecentesco appartenuto a un generale napoleonico, 900 metri quadrati su tre piani con un giardino meraviglioso. Trovo mezzo milione di euro e sistemo anche quello. Le madri prive di un tetto non dovranno più temere per il futuro dei loro figli».


Se era questo che volevi - bimbi che crescono, invece di finire triturati fra i rifiuti ospedalieri - rimboccati le maniche, Giuliano. Con la lista pazza hai dato una casa alla vita nascente. Le chiavi sono tue.
Stefano Lorenzettostefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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