Caro Roberto Saviano,
rispondo subito all’appello che, in qualche modo, ha lanciato l’altra sera dal salotto di Che tempo che fa. Dopo aver negato qualsiasi tentazione d’ingresso in politica, con Fabio Fazio avete annunciato che in autunno proporrete un nuovo programma. Quattro serate, roba seria. «Diranno: adesso fa anche tv», ha preconizzato, anticipando presunte reazioni infastidite di fronte alla sua nuova carriera di personaggio del video. Stuzzicato, eccomi qui: con una premessa tutt’altro che formale. Ognuno è libero di andare ospite di tutti i talk show che vuole come lei ha fatto da sempre e ancor più sta facendo in questi giorni. Prima, intervistato da Vincenzo Mollica per la rubrica DoReCiakGulp del Tg1 per parlare di Andrea Pazienza. Poi, appunto, da Fazio. Presto su Current Tv per uno speciale intitolato Saviano racconta Saviano. Insomma, ci sta giustamente prendendo gusto. Anche perché, gusto a parte, è la sua stessa condizione di scrittore sotto protezione che, come ha spesso spiegato, la costringe a stare in favore di luce allo scopo di mantenere i riflettori su di lei per non agevolare i progetti criminali di Cosa nostra che si giovano del buio.
Quindi, nientissimo da dire. E zero obiezioni sul progetto di passare dall’altra parte della telecamera, come facitore di televisione. Tuttavia, è indubbio che la realizzazione di un programma in quattro serate per una rete Rai segni un salto di qualità nella sua carriera di intellettuale, d’ora in poi non più solo scrittore che ha fatto dell’uso della parola uno strumento d’intervento nella vita civile, ma anche personaggio e volto televisivo. Ecco, caro Saviano: non si fidi troppo della televisione, macchina infernale.
Per dire, sempre da Fazio, con l’uso dell’impersonale - «diranno che...» - in lei è sembrato prevalere un atteggiamento antagonista, di replica ad obiezioni provenienti da entità avverse genericamente identificate, politici, giornalisti, chissà. (Nemici i Casalesi, sì. Ma nemici anche noi giornalisti? Vabbé.) Perché, ha spiegato sempre parlando delle ostilità che incontra nella sua lotta contro la criminalità organizzata, «è come se oggi si lasciasse perdere chi dà fuoco al Paese» per contestare invece «chi dà l’allarme per l’incendio». Ineccepibile. E comprensibile anche una certa sindrome da accerchiamento. Ma, visti i tanti nemici che già tiene, forse converrebbe limitarsi a quelli veri. O no?
Sempre da Fazio, si è difeso per il fatto di avere la scorta, di scrivere libri, ora, preventivamente, di andare in tv. E quando le ha chiesto se proporsi come professionista dell’antimafia non la distragga dal suo vero mestiere di scrittore, lei ha risposto: «Non temo i professionisti, ma i dilettanti dell’antimafia. Essere competenti nel raccontare la mafia credo sia un pregio. Io uso la parola contro la camorra perché sono uno scrittore, non un poliziotto o un magistrato...». E meno male, vien da dire: visto che, come dimostrano le cifre, ai mafiosi e ai Casalesi ci sta pensando con un’efficacia sconosciuta ai precedenti, il governo attualmente in carica.
Ma torniamo a noi, caro Saviano. Parlando del suo corso di scrittura alla Normale di Pisa, sempre nel salotto di Raitre, si è espresso così: «La possibilità di comunicare, condividere, scambiarsi informazioni, studiare, ragionare continua ad essere la cosa più pericolosa che si possa fare. È pericoloso far capire che cosa sta accadendo...». Ecco: mentre l’ascoltavo, pensavo avrebbe detto la cosa più bella, non più pericolosa. Tanto più con i suoi trent’anni. Invece.
Proprio da qui parte il mio modesto suggerimento per il programma in coppia con Fazio, visto che non avete ancora chiari i contenuti. Preferisca l’estetica all’etica, lo stupore per la bellezza all’intransigenza della denuncia. Parlando con Mollica dell’opera incompiuta di Andrea Pazienza l’ho vista ridere di gusto - una notizia - confessando la sua passione per l’Uomo ragno. E riproponendo da Fazio la storia di Lionel Messi ha citato la favola del calabrone che continua a volare perché non sa che il suo corpo pesa più di quanto le sue ali possano portare. Così, il piccolo Messi continua a giocare a calcio, nonostante sia uno sport sempre più basato sulla forza e la potenza, perché non lo sa.
Per concludere questa predica, caro Saviano, lei diventi
pure un personaggio della televisione. Ma sappia che dalla società civile alla società dello spettacolo le cose cambiano. E se finora ha potuto non saperlo, c’è il rischio che lo imparerà presto.Perdendo in ingenuità.
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