Controcultura

Quel Carosello di idee che fece crescere l'Italia

Sogni, benessere, grafica, design, cultura di massa Dal '57 al '77 il programma fu il ritratto del Paese

Quel Carosello di idee che fece crescere l'Italia

nostro inviato a Mamiano

di Traversetolo (Parma)

Uno dei tanti colpi di genio di Armando Testa, per dire, è stato quello di prendere un animale né bello né mansueto (anzi, un mammifero aggressivo), dipingerlo di blu, mettergli delle ciglia finte, chiamarlo «Pippo», et voilà!: l'ippopotamo amico dei bambini, il più amato della tivù, testimonial dei pannolini usa-e-getta Lines. Era il 1966, gli anni di Caballero e Carmencita della Lavazza, l'Omino coi baffi della Bialetti, «Salomone pirata pacioccone» che pubblicizza i dolci della Fabbri, e Papalla... Erano gli anni di Carosello. Vi ricordate la fanfara della sigla iniziale? È una tarantella napoletana dell'800 arrangiata ad hoc. Non cambiò mai, sempre la stessa per l'intero ventennio in cui andò in onda il più familiare, leggendario, nazional-popolare programma televisivo italiano delle reti Rai dal febbraio 1957 al gennaio 1977. Dopo, tutti i bimbi a letto. Pubblicità, progresso - portò il Paese dalla povertà della guerra alla fiabesca rivoluzione dei consumi - sogni, benessere, grafica, design d'élite e cultura di massa, immaginari&desideri e il meglio del «fatto in Italì». Com'era lo slogan di quel celebre caffè? «Olè!».

Un grande poster di Calimero, ideato dallo studio Pagot per il «Nuovo Ava per lavatrici» della Mira Lanza, 1965. I manifesti di Raymond Savignac per il Formaggino Mio, 1957. I disegni preparatori per lo spot della Linea (che litiga con la mano che l'ha creata) inventata da Osvaldo Cavandoli per Lagostina, 1970. Un cartonato che pende dal soffitto di Franco Cerri, l'uomo in ammollo della Bio Presto. E all'ingresso: una gigantesca scatola di cartone di «Farfalloni» della Barilla, costruita dal designer Erberto Carboni, quando fra il 1965 e il 1990 testimonial della «pasta degli italiani», con più di 60 caroselli interpretati e le sue lunghe mani che scivolano fra le confezioni di pasta, era - bellissima, elegantissima - Mina. Ora di lei resta solo la voce degli spot Tim.

Siete pronti? Benarrivati alla grande mostra «Carosello. Pubblicità e Televisione 1957-77» (fino all'8 dicembre) allestita a Villa dei Capolavori, la sede della Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo, 15 minuti in macchina dal centro di Parma, nel cuore della rivoluzione luccicante (paradossalmente in bianco e nero) che, con un ottimismo mai più ritrovato e una creatività diffusa irripetibile, trasformò l'Italia in un Paese urbano, industriale e moderno. Che fantasticava come se fosse ricco e spendeva come se fosse benestante. Si chiama miracolo economico.

Il miracolo, per prima cosa, è aver trovato tutti questi pezzi, originali («È stata un'impresa, ma anche molto divertente - confessa Stefano Roffi, il curatore della mostra insieme con Dario Cimorelli -. Abbiamo chiesto prestiti agli archivi delle grandi aziende, agli studi di grafica e di pubblicità, ai musei pubblici e privati: un lavoro lunghissimo, ma alla fine questa è la prima vera mostra su Carosello). Ed ecco manifesti, cartelloni, bozzetti, schizzi, rodovetri, storyboard, quattro ore complessive di filmanti Rai con decine di réclame (ogni inserto di Carosello durava 2 minuti e 15 secondi, un'eternità oggi) che passano su enormi televisori (finti) stile anni '50, e veri apparecchi come l'Orion 23'' disegnato da Franco Albini per Brionvega nel 1961. E poi, soprattutto, i gadget: pupazzi, cartonati, i gonfiabili di Susanna Tuttapanna, Camillo il coccodrillo, la Mucca Carolina («Sono pezzi rarissimi. Vede quello, l'Uomo che dorme della Permaflex in plastica gonfiabile? Vale seimila euro oggi, a trovarlo...»), personaggi che davano identità al marchio e - con le loro storie - dipendenza ai telespettatori.

Ecco, appunto: la tele. Inizia tutto da qui. Anche il percorso della mostra, che incrocia temi e cronologia affollando oggetti, cartelloni e filmati («Abbiamo tappezzato e rivestito ogni spazio possibile, così come la pubblicità invade tutto e non ha riguardo per niente»): i manifesti che accolgono il visitatore sono quelli degli apparecchi televisivi Ultravox, Majestic, Magnadyne... sono gli anni '50, e la tv è il re degli elettrodomestici e il desiderio delle famiglie. Poi, si parte col primo Carosello della storia, 3 febbraio 1957. Le pubblicità (mascherate da pubblica utilità) sono quelle della Shell, l'Oréal con Mike Bongiorno, Singer con Isa Pola e il «commendator» Mario Carotenuto, e Cynar con il barman con Carlo Campanini e Tino Bianchi...

Attenzione, nessuna operazione nostalgia. La mostra (con un catalogo fantastico di SilvanaEditoriale) non vuole far sospirare - sì, anche... - ma riflettere sulla ricchezza della creatività e dell'industria made in Italy e capire una forma di comunicazione che prendeva tra due fuochi (i vecchi manifesti e i nuovi spot televisivi) l'italiano medio, che per la prima volta diventa consumatore. Nessun rimpianto, solo la Storia che scorre. E così in queste sale scorrono le idee geniali dei designer, la creatività della scuola di animazione italiana (la Gamma Film di Gino e Roberto Gavioli, la modenese Paul Film di Paul Campani, lo studio Pagot...), la storia economica e produttiva del Paese, e un pezzo del costume nazionale... la Vespa sprint, le macchine da cucine Necchi, la Lambretta, il doppio brodo Star, i frigoriferi Zoppas, il dentifricio Mira e il sorriso delle modelle, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello testimonial del materasso a molle Permaflex, «Noi l'abbiamo, noi lo consigliamo!», Gianni Boncompagni nel carosello della Cocacola con i Formula 3, Cimabue e Dom Bairo «l'Uvamaro»... Una carrellata di Carosello lunga vent'anni.

Poi, al boom seguì la crisi degli anni '70 (i costi per le aziende diventavano insostenibili), il mondo fiabesco fu cancellato dagli anni di piombo - l'ultima puntata di Carosello va in onda il 1° gennaio 1977, mentre in casa non si sperava più e in strada si sparava già - e il bon ton in b/n fu travolto dalla rivoluzione in multicolor: la sensuale «Terry vuole Terital» di Guido Crepax e il culo dei jeans Jesus di Oliviero Toscani, 1973. «Chi mi ama mi segua». Davanti si apriva un altro mondo, dietro resta uno splendido ricordo.

«Tacabanda!».

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