La carta di Monti: compromesso tra giustizia e lavoro

RomaC’è cauto ottimismo nei dintorni di palazzo Chigi. Stasera Monti raduna attorno al tavolo l’Abc, nel tentativo di sciogliere i reciproci veti che rischiano di ingolfare il motore del governo. Il premier è consapevole che i temi sono tanti e spinosi ma non demorde: è convinto che, se non oggi, nei prossimi giorni si dovrebbe arrivare ad un accordo tra Pdl, Pd e Terzo polo. Sarà lui, al cospetto di Alfano, Casini e Bersani (ai quali quando nacque il governo secondo Pierfurby avrebbe offerto la poltrona di vicepremier), a fare il mediatore o, meglio, il croupier: distribuirà, cioè, carte e dolori un po’ per tutti. È noto cosa ci sia nel mazzo: mercato del lavoro e articolo 18, riforma della Rai, giustizia e ddl anticorruzione. Nessuno dei leader vuole pescare la carta dolorosa ma tutti sanno che sarà inevitabile riceverla. Si tratta di limitare i danni e, soprattutto, di apparire più colpiti di quanto non siano realmente e, quindi, maggiormente «responsabili». La regola è nota: ci si siede al tavolo chiedendo 100 per ottenere 50.
Il Pdl griderà un «no» secco alla riforma della Rai, un «no» secco al ddl anticorruzione e un «sì» convinto alla riforma del lavoro e alla modifica dell’articolo 18, ben sapendo che è il piatto più indigesto per Bersani. Alfano si presenterà al tavolo con la pistola caricata con i seguenti pallettoni: intercettazioni, giusto processo, riforma a tutto campo. Volete parlare di giustizia? Benissimo, si parli di tutto, però... Contestualmente Pd e Terzo polo urleranno un «sì» acceso sulla riforma di viale Mazzini e sulla giustizia per non subire soltanto quello che ormai è dietro l’angolo: la riforma del lavoro e le modifiche alla norma sui licenziamenti senza giusta causa.
Detta così sembra un muro contro muro ma in realtà all’orizzonte già si vede un compromesso. Questi i termini: il Pdl presumibilmente cederà sulla norma relativa alla responsabilità civile dei giudici, già introdotta alla Camera con un emendamento del deputato leghista Gianluca Pini; a cercare la mediazione su concussione, reato di corruzione privata e tempi della prescrizione, c’è in campo pure il Guardasigilli, Paola Severino. L’accordo sulla giustizia, in ogni caso, dovrebbe arrivare dopo le prossime amministrative.
Il Pd, invece, cederà obtorto collo alla riforma del lavoro che è anche la riforma strutturale che sta più a cuore a Monti. Sia Alfano sia Bersani potranno dire di aver rinunciato a molto, moltissimo. E anche su viale Mazzini si profila l’accordo. Il Pdl dice: non toccate niente. Il Pd ribatte: toccate tutto. Quindi sarà via di mezzo. Nessuna riforma della governance di viale Mazzini con la diminuzione dei consiglieri d’amministrazione da 9 a 5; ma tentativo di arrivare alla sostituzione dell’attuale consiglio, escludendo così la proroga del Cda che scade a fine mese. In questo modo la legge Gasparri sarebbe salva e il Pdl potrebbe presentarsi come già profondamente colpito.
Della serie: abbiamo già dato, che volete di più? E il di più sarebbe la spinosa questione delle frequenze televisive. Pd, Idv, Sel e Fli hanno la bava alla bocca e non vedono l’ora di dare l’ultima graffiata a Mediaset e Berlusconi. Chiedono che le frequenze televisive vengano messe all’asta, ripudiando così il metodo scelto dal garante per le comunicazioni (Agcom) nel 2009, ossia gratuitamente. Il tema è delicatissimo ed è stato al centro del colloquio che Monti ha avuto qualche giorno fa con il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri. La truppa antiberlusconiana cercherà di tirare il premier per la giacchetta lì dove fa più male al Pdl ma oggi il colpo dovrebbe andare a vuoto. Molto probabilmente al summit non si parlerà di beauty contest anche perché il file è sul tavolo del ministro Passera. Il quale dirà qualcosa di chiaro a fine mese, non prima. E dipenderà molto da come si concluderanno i vertici di oggi e i prossimi.


In serata con 458 voti a favore, 80 contrari e 6 astensioni, la Camera ha detto sì alla fiducia numero 11 del governo sulla conversione in legge del decreto Ambiente che scade il prossimo 23 marzo. La palla ora passa al Senato.

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