Gian Marco Chiocci
Patricia Tagliaferri
Non si è presentato. Non ha mandato l’avvocato. Nemmeno la ricevuta della notifica a casa Tulliani è andata a buon fine. Né si è curato di avvertire che non ci sarebbe stato. Certo, non ha sollevato il legittimo impedimento come ha fatto recentemente a Roma l’ex pm Luigi De Magistris. Ma quando si tratta della casa di Montecarlo, è notorio, a Gianfranco Fini viene l’orticaria.
Ieri, evidentemente troppo preso dall’incontro con l’Associazione nazionale magistrati, ha snobbato l’udienza di conciliazione stabilita dalla riforma approvata un anno fa che prevede, nelle cause civili, di rivolgersi a un «mediatore» per tentare di trovare un accordo tra le parti prima di finire in tribunale. Il presidente della Camera che ricorda in ogni momento a Silvio Berlusconi di non sottrarsi alla legge e di presentarsi ai giudici, è dunque il primo, quando tocca a lui, a saltare l’appuntamento. Certo, come dice l’avvocato-deputato Giuseppe Consolo, «presentarsi all’audizione non è obbligatorio». Eppure la legge invita le parti a confrontarsi, anche in un caso come quello del quartierino nel Principato in uso al cognato di Fini, sul quale gli avvocati della Destra hanno battagliato (invano) in sede penale prima di rivolgersi al giudice civile: nella sala del consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, dentro il «Palazzaccio», si sono ritrovati di buon’ora solo i legali del partito di Storace, Marco Di Andrea e Roberto Buonasorte, oltre al «mediatore» incaricato di trovare un accordo sul risarcimento per la casa della contessa Colleoni, donata ad An per una «buona battaglia», che non è certo quella riscontrata anche dalla procura di Roma dei paradisi fiscali e delle società off-shore riconducibili - secondo le autorità di Saint Lucia - al cognato del primo inquilino di Montecitorio.
L’avvocato Consolo non ci trova niente di strano. Anzi. «Non ci siamo presentati - ribatte il deputato di Fli - perché qualche giorno fa la norma sulla mediazione è stata dichiarata anticostituzionale dal Tar del Lazio». Un lapsus, per la controparte, che ricorda come il tribunale amministrativo abbia solo girato la questione alla Consulta, l’unica a potersi pronunciare in materia. O forse liquidare così la vicenda serve solo a nascondere il reale motivo dell’assenza di Fini e dei suoi legali, e cioè che evidentemente non ci sarebbe stato comunque alcun margine di trattativa. «Il decreto è tutt’ora in vigore ed è legge dello Stato - spiega Di Andrea - il Tar ha solo detto che la questione sollevata dagli ordini degli avvocati sull’incostituzionalità è fondata. Ma non c’è stata ancora una pronuncia». Cosa accadrà adesso? «Prima di chiudere il verbale - continua Di Andrea - il mediatore ha rinviato l’audizione all’11 maggio per sincerarsi della regolarità della notifica a casa del presidente della Camera. Se anche quel giorno non si presenterà, il tentativo di conciliazione si concluderà con un nulla di fatto e nella successiva causa civile Fini partirà “svantaggiato” perché il giudice potrebbe trarre dei convincimenti sulla decisione finale dal comportamento processuale dei convenuti». La decisione del leader di Futuro e Libertà, dunque, potrebbe non essere indolore per lui anche sotto il profilo risarcitorio perché le spese del giudizio rischiano di ricadere sulle sue spalle. Ma è il processo civile che Fini teme davvero.
E ne ha motivo: perché nell’argomentare l’archiviazione sul caso sollevato dal Giornale, i pm hanno ammesso la veridicità dei fatti ed evidenziato l’esistenza di irregolarità da perseguire civilmente, non avendo trovato nulla di penalmente rilevante.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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