La casa occupata in via De Amicis nuova base per i furti nei negozi

«Non chiamateci antagonisti, siamo gente che si organizza». Undici del mattino, via De Amicis 16, davanti alla casa okkupata in pieno centro ci sono sei ragazzi di numero. E gli altri? Dicono di aver dormito qui in cinquanta, dai 17 ai 60 anni. Ma «adesso sono andati tutti a lavorare». C’è un banchetto sul marciapiede, «per informare direttamente la gente, non come fate voi giornalisti». E sui volantini si legge: «Scioperiamo tutto e ovunque per mettere in ginocchio un’economia che spreme le nostre vite». Ma come, e i 43 di voi che sono andati a lavorare? Non è questo il punto, la coerenza. Passiamo ad altro. A quel verbo scioperare, usato in modo transitivo, riportato a caratteri cubitali sull’agenda della giornata: «Ore 16 scioperiamo il supermercato». Che vuol dire? «Che entriamo e prendiamo la carne senza pagare. È come l’impiegato che si fa una fotocopia in ufficio di straforo, ma attenta a quello che scrivi, sennò ci rivolgiamo all’avvocato». Già, la legge. Che farà il padrone di questa bella casa ora che gli avete forzato la serratura? «È una banca». Appunto, roba d’altri... «Noi non prendiamo la casa ai poveri. E poi, qui dentro, non ci viveva nessuno». L’okkupazione va fatta con una certa oculatezza, si cerca una casa disabitata da un po’ per evitare che il titolare legittimo sporga querela e che succeda come in via Savona 18 dove - per via delle denunce e delle lamentele del vicinato - le forze dell’ordine hanno allontanato gli intrusi dopo «soli quattro mesi» (per la cronaca: i transfughi si sono trovati un altro posticino, in via Giannone, da dove sventolano striscioni con offese al vicesindaco).
Quanto resterete? «Il più possibile, certo se arriva l’esercito siamo costretti a mollare. Questa città è famosa per gli sgomberi». (Al momento sono 14 gli stabili okkupati e non si riescono a liberare neppure quando si presenta l’ufficiale giudiziario). Torniamo a via De Amicis 16 ribattezzata la Casa dello sciopero». «L’abbiamo resa più bella, abbiamo portato sacchi a pelo, forni. Noi, i posti li facciamo vivere». Sul volantino c’è scritto che «questa casa è illegale nella misura in cui vuole essere efficace, determinata». Sarà per via «della misura in cui», sarà per via della vicinanza con il civico 10, lo stabile, oggi sede degli uffici comunali, che quindici anni or sono era stato okkupato dagli anarchici, ma l’aria che si respira pare la stessa: vecchiotta. «Scioperiamo stazioni, strade, depositi per bloccare i flussi di merci. Scioperiamo il denaro per prenderci ciò che ci spetta. Sono le prime giornate di uno sciopero che finirà soltanto quando saremo liberi». Pure l’astio evidente da queste parole è tuttaltro che «giovane»: «Questa vita di m...

ce la fanno pagare cara, cosa aspettiamo a fargliela pagare?». Il poster - quello che viene donato ai passanti per spiegare il loro manifesto - ritrae un uomo di spalle con un pietrone in mano. C’è scritto: «La prima pietra è stata scagliata, tu cosa aspetti?».

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