Ufficialmente, l’inchiesta resta a carico di ignoti e senza ipotesi di reato. Ma un altro passo è stato fatto. La Procura bussa direttamente in Comune e in Prefettura per avere chiarimenti sulla vicenda delle case Aler ai rom, su cui i pm stanno verificando eventuali profili di discriminazione razziale. L’indagine penale, dunque, ha nel mirino sindaco e prefetto, mentre sul versante civile continua la partita tra i giudici - che avevano imposto all’amministrazione di mettere a disposizione dei nomadi gli alloggi - e i legali della Moratti, secondo cui la responsabilità della mancata assegnazione degli alloggi è da attribuire alla Casa della carità.
Ieri, i procuratori aggiunti Armando Spataro e Ferdinando Pomarici hanno chiesto formalmente documentazione e informazioni al prefetto Gian Valerio Lombardi, in qualità di commissario straordinario per l’emergenza rom, e al sindaco Letizia Moratti. «Le istituzioni danno le case ai rom e si ritrovano indagati - è la dura replica del vicesindaco Riccardo De Corato -. Una vicenda che ha dell’incredibile. Le carte sono già state consegnate. Se ne servono altre manderemo l’elenco dei 20 mila milanesi che aspettano la casa popolare». In sintesi, la Procura sta cercando di capire per quale ragione un accordo che sembrava cosa fatta (25 case popolari per altrettante famiglie rom di via Triboniano) sia alla fine diventato lettera morta. Cosa, cioè, sia successo tra l’agosto e l’ottobre dello scorso anno. Solo pochi mesi fa, infatti, una delibera regionale aveva autorizzato a consegnare alloggi popolari «a favore di popolazione connotata da particolari fragilità». Appartamenti inagibili e fuori graduatoria, quindi non assegnabili, da ristrutturare con i fondi previsti dal «Piano Maroni» per il superamento dei campi rom. In Prefettura, quindi, erano stati firmati i contratti d’affitto. Poi la macchina si è incartata. Il punto è: perché? Non è un caso, però, che i pm chiedano conto al prefetto di un’intervista rilasciata il 30 ottobre al Corriere della Sera in cui l’inquilino di corso Monforte sosteneva che «gli accordi presi e approvati non hanno avuto attuazione, in dipendenza del mutamento di posizione di una componente politica della maggioranza del Comune di Milano, preoccupata perché l’utilizzo di case Aler da parte di famiglie rom avrebbe dato un messaggio negativo». Un ragione politica, dunque, avrebbe fatto saltare il banco.
In Comune e Regione, infatti, Pdl e Lega si erano opposti all’assegnazione, e il ministro Maroni aveva ordinato al Prefetto di recuperare gli appartamenti «nel privato». Insomma, l’accordo era saltato. Di lì il ricorso dei nomadi, che avevano trovato una sponda nel tribunale civile. Il giudice monocratico, infatti, aveva intimato Palazzo Marino di «rispettare i patti», e di mettere a disposizione dei rom gli alloggi Aler. Contro quella decisione, il Comune aveva presentato un reclamo, bocciato dal Tribunale.
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