Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
Per i pm c’è il cardinale corruttore e il ministro corrotto. L’inchiesta sulla cricca scivola via fra sacro e profano. Il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, già responsabile della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (Propaganda Fide) è indagato dalla procura di Perugia. Nell’informazione di garanzia si fa riferimento al concorso in corruzione aggravata e continuata (articoli 319, 319 bis, 81 e 110 del codice penale) con l’aggiunta del 321 (pene per il corruttore). Con il religioso, iscritto a modello 21 con le medesime accuse (eccetto il 321) c’è anche l’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi: di mezzo c’è una storia di appalti in Vaticano come contropartita alla casa dell’ex ministro. Ma andiamo per gradi. In una strampalata intervista a Repubblica pochi giorni fa Lunardi aveva gettato la croce addosso a Scajola e Bertolaso assolvendosi dai peccati che gli inquirenti umbri ritengono abbia commesso in relazione all’acquisto di un intero palazzetto di 42 vani su quattro piani in via dei Prefetti nel centro di Roma, a due passi dalla Camera, per soli 2,8 milioni di euro. Secondo i pm, e secondo alcune fonti vaticane interne all’istituto religioso, nel valeva come minimo sei. Uno sconto così forte, inspiegabile, ha insospettito gli inquirenti. Che sulla base delle dichiarazioni dell’architetto Zampolini, braccio destro di Anemone, e su una serie di riscontri incrociati, si sono convinti che più di qualcosa non quadra. Lunardi, peraltro, è sempre più sotto osservazione anche per la ristrutturazione di quest’immobile che sarebbe stata affidata, pure qui con trattamenti di favore, a imprese riconducibili a quel Diego Anemone che già nel 2002 gli ristrutturò una casa nei dintorni di Parma «perché mi doveva un favore, voleva sdebitarsi». Quale fosse il favore lo ha confessato candidamente lo stesso Lunardi. «Lo avevo aiutato ad acquistare i terreni della Banca di Roma su cui avrebbe edificato il futuro Salaria Sport Village, chiamai un funzionario della banca. Perché l’ho fatto? Perché era un amico di Balducci». Nel professarsi «una persona per bene» Lunardi ha poi spiegato che appena nominato ministro dei Lavori pubblici fu costretto a cercare una nuova sistemazione perché il padrone di casa gli aveva raddoppiato l’affitto. Così chiese aiuto a Balducci che da solerte «agente immobiliare vaticano» gli mise sotto il naso duemila case di proprietà di Propaganda Fide. La scelta cadde su uno stabile su 4 piani che poi l’ex ministro decise di acquistare. La trattativa andò per le lunghe, sempre a detta di Lunardi, e alla fine il «papa rosso» della Congregazione, Crescenzio Sepe, dopo aver consentito a Lunardi di alloggiare gratis per quattordici mesi, si decise ad alienare quel palazzetto a un prezzo che ha mandato su tutte le furie il successore alla guida di Propaganda Fide. E cioè, il cardinale Ivan Dias: indispettito dalla rendita insufficiente ricavata dal fitto e dalla vendita dei pezzi pregiati del patrimonio di Propaganda Fide (a cominciare da quello in via di Prefetti a Lunardi) il porporato indiano dispose di rivedere i canoni più bassi riservati ai vip. L’operazione, fra veti incrociati e raccomandazioni politiche, si arenò prima ancora di partire. Quanto al palazzo di Lunardi, non si poteva fare più niente. L’affare immobiliare era andato in porto, con gravi perdite per le economie del «ministero degli esteri della Chiesa». A forza di indagare gli investigatori hanno scoperto che Lunardi compra la casa un mese prima dell’acquisto dell’appartamento al Colosseo da parte di Scajola: il notaio è lo stesso, Gianluca Napoleone. L’architetto pure, Zampolini. A ristrutturare ci pensa in entrambi i casi Anemone. Di Scajola e Lunardi, e di presunti intrallazzi, parla l’autista di Balducci, Laid Ben Hidri Fathi.
L’alto prelato, a cui rispondeva direttamente il gentiluomo del Papa, Angelo Balducci, che nella congregazione ricopriva l’incarico di consultore laico e «gestore» dell’immenso patrimonio immobiliare di Propaganda Fide, stando agli indizi in mano alla procura di Perugia (che lo sentirà prossimamente anche per la vicenda dell’appartamento in via Giulia affittato a Bertolaso) avrebbe fatto pressioni per ottenere dal governo (Lunardi alle Infrastrutture, Bondi alla Cultura) quattrini per 51 milioni di euro per una serie di ristrutturazioni dei palazzi vaticani. Il programma d’intervento, approvato con decreto interministeriale, venne affidato all’Arcus, una Spa di Stato ideata per accelerare e risolvere i problemi di edilizia culturale, incaricata di gestire il business degli appalti nelle chiese, nei musei, nelle aree archeologiche. Fra le novanta opere da rimettere a posto dalla Sicilia alla Val d’Aosta spiccava un finanziamento ad hoc per il restauro di uno splendido palazzo in piazza di Spagna, civico 42, con annessa pinacoteca che sarà inaugurata ad ottobre. Prezzo pattuito 2,5 milioni di euro. Intorno a questo finanziamento gira il destino di Lunardi, perché gli inquirenti sono convinti che dietro Arcus ci sia del marcio.
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