"Case in svendita ai politici di sinistra". Il parlamento sapeva

Nel 2001 l’azzurro Taradash denunciò alla Camera "l’enorme disparità tra valutazione di mercato e prezzo di acquisto". Ma il governo Amato garantì: niente sconti sugli immobili di lusso. Veltroni rompe il silenzio: "Nessun privilegio, solo prelazione"

"Case in svendita ai politici  
di sinistra". Il parlamento sapeva

Roma - Ricomincio da capo è un’allegra commediola americana nella quale il malcapitato Bill Murray, nel ruolo di un improbabile meteorologo tv, si trova condannato a vivere all’infinito lo stesso giorno in uno sperduto paesello della Pennsylvania.
Nel mondo politico italiano, però, la finzione cinematografica diventa realtà e accade che ciclicamente ci si ritrovi a vivere le medesime situazioni così come si erano configurate in precedenza. È il caso di «Svendopoli». Bisogna, infatti, tornare a quel fatidico question time alla Camera del 24 gennaio 2001. Il governo Amato è ormai agli sgoccioli, ma questo non impedisce l’avvio delle procedure di vendita degli immobili degli enti previdenziali e dei Comuni. Il deputato di Forza Italia, Marco Taradash, presentò un’interrogazione a risposta immediata al ministro del Lavoro, Cesare Salvi, e al ministro delle Finanze, Ottaviano Del Turco, per sapere se non sia «opportuno verificare che le operazioni di dismissione non finiscano per determinare l’alienazione di immobili di pregio a prezzi ben lontani dal loro valore di mercato».

Anzi, nell’intervento in assemblea Taradash fu ancora più esplicito. «Si è scoperto, grazie a un’inchiesta dell’Espresso, che l’Ufficio del territorio delle Finanze (l’attuale Agenzia del demanio, ndr) ha fatto in modo di attribuire agli immobili attualmente affittati a esponenti del mondo politico, della magistratura, del giornalismo, prezzi al di sotto di quelli di mercato per cui non risultano immobili di pregio. Si sta andando verso “Acquistopoli”», disse il deputato azzurro.
Come ricordato nell’intervista concessa ieri al Giornale da Cesare Salvi, l’ex ministro avviò un’ampia digressione per mostrare come fino ad allora si fosse seguito un percorso trasparente. Innanzitutto, ricordò che «gli immobili di pregio sono quelli che hanno un valore superiore al 70% del prezzo medio degli appartamenti rilevato sull’intero territorio comunale» e che a essi non si applica lo sconto del 30% concesso agli inquilini in affitto.

In secondo luogo, rilevò che «esiste un’unica fonte» per la determinazione dei prezzi: il Dipartimento del territorio del ministero delle Finanze. In ultima istanza, Salvi confermò che «l’Osservatorio sul patrimonio immobiliare (allora guidato da Gualtiero Tamburini, ndr) presso il ministero del Lavoro ha il compito di monitorare le dismissioni». Secondo il ministro, non vi era rischio che «Affittopoli» potesse trasformarsi in «Svendopoli» in quanto «sarà mia cura intervenire per evitare che ciò accada, come ho già fatto nell’estate del 1999 bloccando la vendita degli immobili di pregio» per evitare privilegi.

Taradash replicò rilevando come fossero già sorti contrasti sui criteri di valutazione tra Ufficio tecnico erariale delle Finanze e Osservatorio. «Vi è un’enorme disparità tra prezzi di mercato reali e prezzi che vengono segnalati come valore di quelle abitazioni in cui risiedono segretari di partito ed esponenti politici al 99% del centrosinistra», concluse. Rilievi che nel 2001 vennero mossi a Roma anche dal consigliere comunale, Rita Bernardini (oggi segretario radicale), che denunciò lo scandalo dei prezzi stracciati per migliaia di immobili posti in vendita dal Comune nel centro storico in favore di personalità eccellenti.

Tutto passò in cavalleria e dopo sei anni si scopre che la paventata «Svendopoli» è diventata una realtà. E che le dismissioni siano state gestite nel corso degli anni con una certa leggerezza lo conferma l’insolito lavorio di Via XX Settembre. I tecnici del ministero dell’Economia, infatti, sono al lavoro per individuare nuovi criteri che consentano di valorizzare al massimo il patrimonio degli enti pubblici aumentando i ricavi per le casse dello Stato.

Una preoccupazione alquanto insolita visto che il governo Prodi si è contraddistinto maggiormente per l’incremento della pressione fiscale piuttosto che per le dismissioni. Le sollecitazioni della Corte dei conti e l’ennesimo incidente mediatico devono aver convinto Via XX Settembre al ripensamento. Sperando di non dover ricominciare da capo anche questa volta.

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