Casimirri, il terrorista latitante "salvato" dall’Unità

Due agenti del Sisde: così il quotidiano fece saltare il rientro dell’ex br pronto a deporre sul caso Moro

Casimirri, il terrorista latitante "salvato" dall’Unità

«Quando lo scoop de l’ Unità bruciò la collaborazio­ne dell’ex br ». Così il 18 febbra­io 2005 il Giornale titolava lo scoop sul tentativo dei nostri servizi segreti di contattare/ arruolare nel luogo di latitan­za il terrorista rosso Alessio Casimirri, nome di battaglia «Camillo», componente del commando brigatista che uc­cise Moro e la scorta, mai un giorno dietro le sbarre nono­stante la condanna a sei erga­stoli. Tentativo naufragato nel 1993 a cose praticamente fatte per una sciagurata soffia­ta al quotidiano l’Unità che nel bel mezzo delle «trattati­ve » fra 007 e la primula rossa sparò la notizia dell’intenzio­ne di Casimirri, riparato in Ni­caragua, di vuotare il sacco coi Servizi a cominciare dal­l’agguato in via Fani. L’indi­screzione, inutile dirlo, indi­spettì l’ex brigatista che inter­ruppe seduta stante la «tratta­tiva » sentendosi tradito. A se­guito dell’articolo del Giorna­le il fratello di Alessio Casimir­ri, Tommaso, presentò una querela a causa dei riferimen­ti contenuti in un dossier del Sisde sul suo ruolo (inconsa­pevole) nelle prime fasi del­l’operazione per catturare la primula rossa.

Il servizio segreto civile gli aveva messo alle calcagna un proprio agente sotto copertu­ra, che Tommaso Casimirri conosceva da tempo e che in­genuamente credeva un poli­ziotto di un ufficio minore. L’obiettivo degli 007 era di sfruttare i canali commerciali aperti in Centroamerica da Tommaso per arrivare ad arre­st­are Alessio lontano dal Nica­ragua che lo proteggeva dalle richieste di estradizione. Il Giornale la causa in tribunale l’ha vinta per aver corretta­mente riportato i virgolettati del rapporto del Sisde del qua­le i due autori - M.F. e C.P. ­hanno parlato a lungo testi­moniando in aula al tribunale di Milano. Dichiarazioni che sconfessano quanto dichiara­to il 17 giugno scorso da Casi­mirri al magazine Sette del Corriere della Sera («Mai ho collaborato coi servizi segreti, anzi estaban de enganarme , volevano sequestarmi, narco­tizzarmi e portarmi con un pulmino alla frontiera»).

Vediamo come. Mentre l’agente segreto C.P. ha rico­struito le fasi iniziali del blitz sfruttando la sponda (incon­sapevole) del fratello Tomma­so, il collega M.F. si è sofferma­to sui contatti riservatissimi con il latitante. «Pensammo che poteva accadere che Ales­sio uscisse dal Nicaragua, non sapevano bene come vi­veva, cosa faceva (...) ipotiz­zammo che i due fratelli pote­vano vedersi in Florida, in Guatemala» o in altri Paesi li­mitrofi. Tommaso venne con­vinto dall’agente sotto coper­tura a partire insieme. Il Sisde allertò la Cia ma a un certo punto «il nostro agente si rese conto, da quel che diceva Tommaso, che Alessio non sa­rebbe mai uscito dal Nicara­gua  ». 

Che fare? Il finto poliziotto «amico» decise di giocare a carte scoperte. «Possibile che tuo fratello non ha voglia di parlare con qualcuno e spiega­re le cose come stanno ». Tom­maso trasecolò: «Ma scusa, tu chi sei?». Secca la risposta: «Sono un agente del Sisde. Posso far parlare Alessio con due funzionari che seguono questa cosa». Tommaso si irri­gidì. «Difficile che mio fratello parli con voi, ma di che servi­zio siete?». «Servizio civile». L’incredulo Tommaso, brac­cato pure dall’Fbi, stando a quel che riferisce l’agente se­greto portò la richiesta al fra­tello. Che a sorpresa accettò l’offerta. «Sì, guarda, tutto sommato con questi (del Si­sde, ndr ) ci possiamo anche parlare». Era fatta. Ricevuto l’ok dalla procura di Roma l’« operazione Camillo» ebbe ini­zio.

«Partimmo il 2, arrivammo a Managua il 3» dopo cinque ore di cammino nella giungla. «Restammo quattro giorni do­ve ricostruimmo... beh, il pri­mo contatto fu importante per noi e avemmo degli spun­ti molto importanti. Poi ripar­timmo. Io sarei dovuto ritor­nare a Natale però, purtrop­po, l’operazione abortì (...) perché qualcuno sibilò la que­stione al giornalista de l’Uni­tà che ad ottobre fece l’artico­lo “I tre che volarono a Mana­gua” e quindi l’operazione an­dò a farsi benedire». Per il funzionario del Sisde l’avvio di una collaborazione «ci avrebbe permesso di capi­re diverse cose, già quello che lui ci disse era estremamente importante (...). Il primo in­contro andò benissimo, pia­no piano potevano uscire co­se estremamente interessanti (...). Ci ho parlato quattro gior­ni, l’argomento principale era il caso Moro (...). Alessio era in una condizione partico­­lare, era un figura che, nel mo­mento in cui avesse accettato di collaborare con noi, poteva diventare il perno di un’opera­zione interessante per capire cosa era rimasto di attivo ne­gli spezzoni della lotta arma­ta, ma soprattutto ricostruire quello che era successo nel ca­so Moro».

L’agente restò me­ravigliato da alcune frasi del terrorista, e altrettanto fece Casimirri quando disse loro: «Ma allora noi siamo stati ad­dirittura

traditi!». Insomma, chiosa lo 007 M.F., «avremmo potuto aprire una grossa cre­pa sul muro che ancora c’è nel caso Moro». Un’occasione ir­ripetibile. Un autobus che non passerà mai più. Altro che macchina del fango.

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