Casini-Cdl, uno strappo che si può ricucire

La maggioranza che lo sorregge fa del governo Prodi una anomalia quale non c’è mai stata in Italia e non c’è in nessun altro Paese d’Europa. Eppure regge. Perché? Paradossalmente è la presenza all’opposizione di un uomo come Berlusconi a tenerlo in vita. L’archetipo, chiamiamolo così, unificante del prodismo è l’antiberlusconismo. Le due spettacolari sconfitte del 1994 e del 2001 sono fermamente nella memoria delle diverse fazioni del centrosinistra e fanno da freno a eccessi e capricci di cui pure esse sono costituzionalmente nutrite. Bertinotti, Giordano, Diliberto, Pecoraro Scanio, tanto per citare le estreme della coalizione prodiana, non faranno mai nulla di risolutivo che provochi una definitiva crisi politica. Essi sanno che ne va della loro sopravvivenza politica. Che dire della indisponibilità dei senatori a vita verso il centrodestra? C’è qui una contrarietà razionalmente inspiegabile. Questa è la realtà, per assurda che sia.
Altra realtà innegabile, di cui la maggioranza prodiana è ormai ben consapevole, è che in questo momento malefatte ed errori dei Prodi (in politica economica, nei comportamenti e soprattutto in politica estera, quest’ultima del tutto antitradizionale e infelice rispetto ad un passato di mezzo secolo) assicurano al centrodestra la maggioranza dei consensi del Paese.
Ovviamente per la riscossione dei questi consensi occorrono elezioni, che però non appaiono affatto vicine. Il fatto che a chiederle sia Berlusconi le allontana. Ci saranno tra due mesi votazioni di valore amministrativo, che però difficilmente avranno valenza politica. Se ci fossero risultati pesanti per la sinistra, l’attuale maggioranza subirebbe di sicuro forti scosse sismiche. In questo caso neppure l’antiberlusconismo riuscirebbe a salvare il governo Prodi.
Si aggiunge ora un inconveniente di non poco conto: lo scarto dell’Udc di Casini, dovuto, com’è noto, non solo al caso Afghanistan, anzi nient’affatto a questo caso ma prodotto di vicende antecedenti e di desideri che vengono da lontano, con responsabilità, questo va riconosciuto, che appartengono ad ambedue le parti in contesa. Casini, assai maturato in questi anni, sta peccando di impazienza, e però anche ai vertici del Polo vanno segnalati difetti di comprensione e diplomazia.
Un osservatore intelligente come Giuliano Ferrara coglie perfettamente questa situazione: «Manca - scrive su Panorama - la manovra, che è uno degli strumenti della politica». Alcuni giorni fa lo notammo qui anche noi, citando il detto del vecchio Nenni: politique d’abord, che è mancata nei momenti cruciali. La politica, cioè, si fa discutendo, confrontandosi senza presunzioni, trattando senza perdere la pazienza, usando, fino allo spasmo se necessario, la diplomazia. Lo conferma ancora Ferrara: «È un lavoro paziente, occhiuto, in cui c’è posto anche per l’affondo, ma non per una catena di affondo».
Insomma, così è stato. Il che, scontrandosi con i bronci di Casini, ha provocato la frittata. Ora, però, bisogna rimediare. C’è spazio per ricomporre l’unità messa a rischio. Trattare a tutti i costi, con un po’ di umiltà anche. Quel che conta è il risultato. Ne sono consapevoli in molti, da Bondi a Formigoni, per esempio. Casini è certamente sotto la spinta del suo retroterra democristiano, dal quale gli vengono incoraggiamenti (ma anche moniti, come quello di Forlani), in più la sua età lo rende precipitoso e orgoglioso, ma non è uomo irragionevole, è politico accorto, per giunta per formazione e cultura è assai lontano da tutto ciò che il prodismo produce, dunque il recupero non è impresa impossibile.
È una operazione che va condotta con delicatezza, mettendo da parte qualunque ortodossia polista, che del resto piace poco anche ad altre componenti della Casa delle libertà. Casini sa bene che a sinistra non c’è spazio vitale per lui: è considerato fastidioso e solo aggiuntivo, niente di più. Da questa parte la sua dote elettorale, al contrario, è apprezzata e rispettata. Quel che fa parte della sua ambizione riguarda il futuro.

Ora quel che conta è far uso della migliore intelligenza politica.

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