Casini dice che lì lo Stato è morto Ma il suo uomo era vicino ai clan

A Pier Ferdinando Casini, va detto, certi slogan escono benissimo. Ma a volte anche il leader centrista pecca di memoria corta. «A Rosarno lo Stato è morto», ha sibilato sabato davanti al sangue ancora caldo che ha imbrattato le banlieue calabresi. Ma se è vero che lo Stato è morto, è altrettanto vero che l’Udc calabrese qualche responsabilità ce l’ha, eccome.
Nel 2008, alle elezioni politiche, l’uomo di Casini dalle parti della piana di Gioia Tauro era Pasquale Inzitari. Lo scranno al Senato è sfuggito per uno zero virgola da riconteggio. Poche centinaia di voti e quell’8% a Palazzo Madama avrebbe significato due senatori, forse tre. Inzitari era proprio il numero tre in lista, dietro l’ex ministro D’Onofrio e il plenipotenziario Gino Trematerra. Liste scritte dai partiti causa Porcellum, e dunque con il placet di Casini, peraltro capolista alla Camera in Calabria.
La carriera politica di Inzitari è finita un mese dopo. Il 7 maggio del 2008 è stato arrestato insieme a Domenico Rugolo, di 73 anni, considerato uno dei boss della ’ndrangheta della Piana di Gioia Tauro. «Se fosse stato eletto sarebbe stato un problema arrestarlo. Per fortuna non è andata così», commentò a caldo un investigatore che aveva passato mesi a passare al setaccio la vita dell’esponente politico. L’Udc l’ha sospeso, nascondendosi dietro la solita formuletta della «fiducia nella magistratura». Peccato che, lo scorso settembre, sia arrivata la condanna a sette anni e quattro mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Inzitari era anche il cognato di Nino Princi, l’imprenditore saltato in aria per un’autobomba e morto tre giorni dopo l’attentato che l’aveva ridotto senza braccia né gambe. L’agguato che l’ha ucciso, almeno, gli ha risparmiato l’onta dell’arresto. Tutta colpa di quel centro commerciale, il «Porto degli Ulivi». Per la Dia e i magistrati l’ex Udc Inzitari è stato la mente imprenditoriale dell’operazione: il centro è sorto su un terreno reso edificabile proprio da Inzitari in qualità di ex vicesindaco di Rizziconi. Il Consiglio comunale deliberò il cambio di destinazione d’uso dei terreni su cui sarebbe poi sorto il centro. Terreni che, secondo gli investigatori, erano già stati acquistati a prezzo agricolo da alcuni prestanome della cosca che fa capo al presunto boss Teodoro Crea, per poi passare alla società Devin, di cui Inzitari era socio, che alla fine costruì il centro commerciale.
Secondo le ipotesi investigative, per sottrarsi alle continue richieste di denaro e lavori della cosca Crea, Inzitari si rivolse al cognato Nino Princi. Le sue soffiate fecero arrestare Crea, e in cambio Princi diventò - questo dicono le indagini - socio occulto della Devin al 16%. Il pacchetto societario venne infine ceduto, nel 2007, nientemeno che al Credit Suisse per 11 milioni di euro.
Princi è morto. Inzitari è stato arrestato e condannato. Ma la condanna peggiore è arrivata all’inizio di dicembre.

Suo figlio Francesco Maria, 18 anni, è stato ucciso con dieci colpi di pistola davanti ad una pizzeria di Taurianova. Una vendetta trasversale, è l’ipotesi più accreditata per quella soffiata. In Calabria non è morto soltanto lo Stato.

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