Casini, l’eterno democristiano fedele alla lezione dei due forni

RomaBuon sangue non mente. Credevate che l’allievo di Arnaldo Forlani, il cadetto più brillante dello scudocrociato, colui che ha donato una quarta primavera a Ciriaco De Mita mandandolo a Strasburgo, messo alle strette non sapesse ritrovar le radici e spolverare le antiche lezioni? Eccolo invece, Pier Ferdinando Casini esibirsi nel miglior numero dell’arte democristiana. Alla matura età di 54 anni non compiuti, il leader dell’Udc mette a frutto gli insegnamenti giovanili e riscopre le convergenze parallele, scodella teoria e prassi dei forni paralleli, azzarda l’assalto alla rocca di Radicofani.
Per la verità quest’ultima era una creazione socialista, ma sempre di prima Repubblica si tratta. Ghino di Tacco, divenuto signore di Radicofani contro Siena e contro il Papa, taglieggiava chiunque percorresse la Cassia poiché passava sotto le sue mura, senza distinzione di colore o di fede. Il paragone se lo guadagnò Bettino Craxi, perché col Psi al 10 per cento “taglieggiava” tanto la Dc nel governo nazionale quanto il Pci in quelli locali, finendo col risultare l’unico partito italiano al potere ovunque. Al leader socialista il paragone piacque, facendo di Ghino il suo nome de plume. E non è quello che sogna Casini, annunciando “mani libere” nei ballottaggi?
Certo, l’arzigogolo delle “convergenze parallele” teorizzate da Aldo Moro è roba più raffinata, ma la sostanza non cambia: si trattava di stare insieme alla sinistra, governare e amministrare insieme concretamente, restando formalmente separati. Concubinaggio, insomma. Appunto le due rette che non entrano mai in collusione né tanto meno in collisione, ma insieme marciano sullo stesso obiettivo. Una linea di pensiero che faceva pendant con la regola enunciata da Giulio Andreotti, quella appunto dei due forni. Che non ha bisogno di grandi spiegazioni: essendoci più di un forno sul mercato, la Dc si sentiva autorizzata a comprare il pane dal miglior offerente.
E bravo Casini, che fino a dieci giorni fa giurava che mai e poi mai col Pd, l’Udc sta saldamente al centro pendendo a destra, se non sta più al governo è soltanto colpa di Silvio Berlusconi ma tranquillo popol mio: mai a sinistra, prima o poi il Pdl verrà a cercarci. Forse il Cavaliere non solo non ha messo a rosolare il vitello grasso, ma nemmeno il collo ad un cappone intende tirare, per il ritorno del Pier alla casa comune. E quello, ha deciso di saltare il fosso.
Con un annuncio-intervista a Repubblica, organo reale del Pd. E alla domanda che spiegando come al primo turno l’Udc si è presentata da sola al Nord, e al Sud col Pdl, sollecitava «e adesso?», Casini ha risposto: «Decideranno i nostri dirigenti sul territorio. Ma si prefigura la novità di un accordo con il centrosinistra, da Bari a Torino». E ancora, «per noi una fase politica si è chiusa, quella dell’alleanza organica con il centrodestra», privilegiamo quei candidati moderati «che ci danno più garanzie», ma sia chiaro, «qualche ballottaggio ovviamente non ipoteca il futuro».
Volete che un buon democristiano si tagli ogni ponte alle spalle? Altrettanto democristianamente, ieri il segretario titolare, Lorenzo Cesa, ha tenuto a precisare di aver fatto finora «solo un accordo su Bari con l’apparentamento con Emiliano. Per il resto stiamo lasciando alla periferia del partito la scelta». Sì, la periferia... A Bari han giocato sul sicuro: essendo il candidato sindaco di sinistra al 49% e quello di centrodestra al 46, e loro avendo il 3%, non hanno voluto rischiare: meglio un panino caldo che un pugno di farina e mosche. Ad Ancona, dove rischiano di essere abbandonati per “tradimento” dall’intero 4,6% preso al primo turno, si sono apparentati col candidato di centrodestra che ha raccolto il 34%, contro quello di centrosinistra al 41%: non si sa mai... Così a Rieti, dove il presidente provinciale uscente, di sinistra, ha preso solo il 44,3% contro lo sfidante del Pdl al 45%, ma è dato favorito, l’Udc ha deciso di riversare il suo 6,4% nel fiume di Dario Franceschini e Antonio Di Pietro. Per la provincia di Frosinone invece, i centristi stanno ancora trattando. Capirai, avevano candidato l’ex sindaco diessino, rastrellando il 13%. Altro, che foro boario. Con chiunque si mettano, vincono. Dunque andranno al forno che offre più pani e più pesci.
Come andrà a Torino? Esultano quelli del Pd, ormai usi ad inseguire ogni sasso che lancia Di Pietro, figurarsi un osso con qualche fibra sventolato da Casini. Han mandato avanti Giorgio Merlo, per vagheggiare che l’apparentamento con l’Udc «può aprire una nuova fase politica anche a livello nazionale». Capito? Son già arrivati a Palazzo Chigi. Quelli del Pdl però non stanno a dormire: Gianfranco Rotondi, d’accordo con Guido Crosetto, ha deciso di presentare nel ballottaggio torinese il simbolo della sua Dc, per sottrarre voti a Casini. La guerra degli scudi, insomma. E Milano, credete davvero che l’Udc andrà a sinistra? A Firenze in verità, è il candidato del Pd che non li vuole affatto.


E dire che da giovane, neodeputato nell’83, Casini era doroteo convinto, tuonava contro le convergenze parallele e aborriva la regola dei due forni. Fulmini e anatemi, contro quelle pratiche. Ma quando era presidente della Camera, lo ha promesso: «Sono giovane, e se possibile voglio fare politica per i prossimi vent’anni».

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