nostro inviato a Mestre (Venezia)
Pier Ferdinando Casini resiste sorridente all'assalto dei cronisti: «Abbiate pazienza, dirò tutto tra poco». Ma basta guardarsi attorno, nei corridoi dell'albergo alla periferia di Mestre dove l'Udc veneta si lancia in campagna elettorale, per capire che il fatidico annuncio atteso dall'Italia ansiosa è un segreto di Pulcinella. Appesi dappertutto i grandi manifesti con la faccia seria di Casini, il tanto discusso marchio bianco rosso e azzurro, lo scudo crociato, la scritta Libertas, il nome del leader e i primi slogan: «È ora di un'Italia più sicura», «È ora di aiutare le famiglie», «È ora di premiare chi merita», «Asili nido per tutti». Non li hanno stampati negli ultimi dieci minuti. Nemmeno le bandiere. Neppure il fondale del palco, tappezzato di scudicrociati come uno spogliatoio per le interviste del dopopartita. Altro che nodo da sciogliere, il dado era già stato tratto.
Dunque, la notizia non è che l'Udc va da sola al voto e che Casini si candida a fare il presidente del Consiglio. Il fatto davvero nuovo sono i toni usati dall'ex presidente della Camera per comunicare l'evento. Parole durissime con Silvio Berlusconi: «Non tutti in Italia sono in vendita, il Popolo della libertà è un partito populista e demagogico, un'arca di Noè che può comprare i marchi ma non gli uomini e le idee». Dunque, gli alleati del centrodestra sono dei venduti chiusi come bestie in un caravanserraglio. «Una cosa chiara e semplice», la chiama il leader dell’Udc. C'è da chiedersi come abbia fatto lui a farsi imprigionare nell'arca per 14 anni.
La sala Dogi dell'hotel Russott scoppia, quella più grande ospita un convegno di E-Bay University. Casini dice che darà l'annuncio alla fine, ma tutto il suo discorso (durato poco più di mezz’ora) è un fuoco di fila in crescendo contro il suo nuovo nemico. «Ho visto che i giornali hanno calcolato i costi dei due programmi elettorali: cifre pazzesche. Non si fa campagna elettorale con promesse di fumo, da anni le ascoltiamo e non le vediamo attuate»: riferimento al contratto con gli italiani. «L'unico messaggio dato oggi ai giovani è: fate i soldi oppure le veline»: guarda caso, Berlusconi è ricco e fa l'imprenditore televisivo. «Non ho nulla contro chi ha i soldi, l'Italia ha bisogno di tanti piccoli e medi imprenditori»: non di magnati come il Cavaliere.
Su quello che ha combinato il governo Prodi nemmeno una parola: «Sappiamo che ha fatto tutti i guai possibili, non c'è bisogno di ricordarli». Deve sgolarsi il senatore Antonio De Poli, finito il comizio, a ripetere: «Siamo alternativi alla sinistra». Casini se ne era dimenticato, ma a Berlusconi non ne perdona una. «Il punto più basso di strumentalizzazione e mercimonio nella scorsa legislatura è stato toccato quando nel centrodestra qualcuno ha negato il voto a sostegno delle nostre missioni militari all'estero sperando di far cadere Prodi. E poi mi ritrovo in tv un candidato premier che difende le missioni senza averle votate».
Il paradosso è che il programma elettorale di Casini è la fotocopia di quello del Pdl: numero chiuso all'università, abolizione delle province, diminuzione della pressione fiscale e introduzione del reddito familiare, detassazione del lavoro straordinario, introduzione del nucleare, liberalizzazione dei servizi pubblici. Un accenno ai «nostri valori» per denunciare che Pd e Pdl «vogliono rimuovere i temi eticamente sensibili dalla campagna elettorale». Poi si ferma, estrae due fogli, beve dell'acqua, si schiarisce la voce. Sono le 12,25, è il momento. «Faremo come stabilito unanimemente dalla direzione nazionale del partito. Ci presenteremo con il nostro simbolo e le nostre bandiere. Mi candido alla presidenza del Consiglio. Mi rivolgo a tutti gli italiani che non si sentono di delegare il loro futuro né alla sinistra di Bertinotti e Veltroni fallita nella storia e nella recente esperienza di governo, né a una nuova formazione imperniata sul populismo e la demagogia, una grande arca di Noè che forse può comprare i marchi ma non tutti gli uomini e le loro idee».
«Dopo 14 anni di collaborazione, a Berlusconi dico: in Italia non tutti sono in vendita. Nei prossimi mesi parlerò un linguaggio di verità e responsabilità. È un’impresa difficile, ma ci sono tanti italiani che non vogliono legarsi a chi oggi è in campo.
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